Psi-Co - Le Cronache
Editoriale

Psi-Co

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Un film dell’orrore ha caratteristiche quasi contraddittorie: ti spaventa ma sai che è finto, ti fa sobbalzare ma sai che ha un inizio e una fine. Psyco, sotto questo aspetto, è stato un vero e proprio capolavoro: gli effetti speciali lentamente iniziavano ad assumere contorni di realismo sempre più spregiudicato, il regista poteva esprimere un suo concetto con sempre maggiore enfasi. Se poi quel regista era Hitchcock, presto detto che la storia assumeva connotati ben diversi. L’horror non era più una casa ma una stanza di uno spazio ben più ampio, indefinito, quasi romantico: il giallo si fondeva con il thriller e, per mezzo di un lungo corridoio immaginario, portava all’orrore.

Psyco è stato il maggior successo di Hitchcock. Candidato a diversi premi Oscar, non ne portò a casa nemmeno uno: eppure la storia ha donato a questa pellicola il riconoscimento che meritava, portando il capolavoro horror al quattordicesimo posto nella classifica dei migliori film americani della storia.

Non sempre si perde con merito, quindi, ma la storia riconosce il valore di un’azione ben eseguita e ne valorizza il contenuto con il miglior premio possibile: la memoria. La stessa cosa, in un gioco di specchi riflessi che rimanda proprio alle tecniche di regia utilizzate da Hitchcock, accade in caso di fallimento: la storia ne rende onore anche più volentieri, con un bel marchio a fuoco che rende indelebile il risultato negativo.

Tralasciando la cinematografia ma avendo ben impressi questi elementi, possiamo dire che la scelta di seguire una determinata “linea narrativa” non appaga poi tanto spesso, soprattutto quando all’ambizione di un risultato si contrappone la drammaticità dei numeri, unico vero fattore imprescindibile.

Lo sa bene la Lega, che è stata in grado di costruirsi un bel parco giochi con un’unica attrazione, le montagne russe: dal 3% al 33% all’8%, tutto d’un fiato, tenendosi stretti una copia del Vangelo e un crocifisso durante una diretta Instagram. Eppure la linea era la stessa: cambiavano soltanto le ambizioni.

Lo sa benissimo Fratelli d’Italia: la fiamma è stata tenuta bassa, fungendo da precursori del risparmio energetico, ma era sempre tricolore. Eppure, a fiamma bassa, l’acqua ha iniziato a scaldarsi e bollire, salendo da +4 a +26 in pochi anni. Anche qui la linea era la stessa: ma le ambizioni dei Lega-ti hanno “regalato” uno sbalzo di temperatura non indifferente ai fratelli d’Italia, che passa dalle urla anonime e inefficaci di una leader contrapposta al silenzio imbarazzante dei suoi militanti, fino alla premiership.

Lo sa molto, molto bene la sinistra. Chiedere informazioni agli atomi scissi dei comunisti che sfruttano il loro Verbo per dirsi più comunisti, più a sinistra, più riformisti, più progressisti, più piùisti, da ritrovarsi sempre nel silenzio assordante di una stanza, da soli, ad analizzare l’ennesima sconfitta. E lo fanno da anni.

Se vogliamo andare ancora più a fondo, invece, bisogna chiedere ai socialisti: al lavoro da tempo per una proposta di campo largo, di area progressista che possa identificare tutti i soggetti di centrosinistra in un’unica grande casa, quella del socialismo europeo, si sono ritrovati con in mano un pugno di lenticchie dop avanzate dall’esperienza tutt’altro che gratificante del 2018, quando un’altra bella sconfitta giunse puntuale. E beato fu, allora, il sudamericano Longo che permise al Psi di dirsi rappresentato alle due Camere, grazie a lui e al buon Nencini. Trombato, lui, per permettere a un milanese residente a Roma di candidarsi a Palermo, seguendo una logica territoriale quasi ciclistica, ma soprattutto permettendo a un segretario nazionale di partito, salernitano doc, di candidarsi al plurinominale del Senato a Roma, evidente quartiere a ovest del teatro Verdi, che ne favorisce la rappresentanza territoriale. Ma la giustificazione c’è: “il collegio è sicuro”, tuona la voce fuori campo di Hitchcock, che sarà mai essere candidati al secondo posto al plurinominale come solitamente spetta ai riempilista, visto anche il taglio dei parlamentari voluto alla opportunistica unanimità del Parlamento su proposta del Movimento 5 Stelle (sarebbe quel partito che prende voti soprattutto in Campania, dove la popolazione si suddivide tra percettori di reddito di cittadinanza pentastellato e posti fissi in enti pubblici in quota PD, per lo più).

E quindi viene fuori il capolavoro: la Camusso, evidentemente salernitana nata a Milano, poco dopo Mercatello, viene eletta al Senato proprio a Salerno. E un salernitano, segretario nazionale di un partito storico che a Salerno prende il 10%, viene spostato verso la Capitale, al Colosseo. Per perdere tra i leoni, direbbe qualcuno; per farsi ridere dietro dalle iene, direbbe qualcun altro. Ci sarà tempo per l’analisi della sconfitta, stando a quanto si legge da un timido post sui social a cura del segretario col garofano: giusto il tempo di un caffè con la Camusso, in riva al mare di Salerno, prima che lei lasci la sua città natale per andare proprio a Roma, dove le iene ancora ridono: risate di sottofondo, in lontananza, che accompagnano i titoli di coda di un ennesimo, bellissimo capolavoro horror, mentre suona instancabile l’organo a pipa della cattedrale sulle note di Bach.