Pillole per una nuova storia letteraria 055 di Federico Sanguineti - Le Cronache
Editoriale

Pillole per una nuova storia letteraria 055 di Federico Sanguineti

Pillole per una nuova storia letteraria 055  di Federico Sanguineti

Femminicidio. Padre e figlio complici.

 

Di Federico Sanguineti 

Le statistiche dicono che ogni dieci minuti nel mondo almeno una donna viene uccisa dal proprio compagno. Del resto, da qualsiasi punto di vista lo si affronti, il femminicidio è una tragedia. Rappresentato dal 1604 in poi, l’Otello di Shakespeare ne è la prova e il successo universale dell’opera lo dimostra. Ma c’è da dubitare che una tale pièce, scaricando la responsabilità su un fazzoletto, giunga alla radice del problema. Possibile che oltre non si possa andare? Resta viva la speranza che una sorella di Shakespeare, come quella ipotizzata da Virginia Woolf nel 1929, anziché fuggire di casa e morire suicida, scopra la chiave per decifrare il fenomeno. Ma dove trovare questa “Judith”, come viene battezzata in A Room Of One’s Own, evocando l’eroina che punisce la superbia del generale nemico? Certo non è la testa di Oloferne che andrebbe mostrata, bensì quella dietro cui si cela l’arcano del femminicidio. Ebbene, la sorella di Shakespeare esiste. Si chiama Clarice Tartufari e il capolavoro, scritto nel 1910, si intitola La testa di Medusa. In breve: l’azione si svolge nella casa di un sostituto procuratore alla Corte di Cassazione (Leonardo), che vive con la seconda moglie (Maria) e il padre di lei, ricco possidente (Luigi). Con loro abitano il figlio di Leonardo, professore universitario, nato dal primo matrimonio (Claudio), e la di lui moglie (Clara). “L’onestà in certi casi è logica, come in certi casi è logica il delitto”, afferma Leonardo nel primo atto, anticipando quel “piacere dell’onestà” riscoperto da Pirandello sette anni dopo. Ma non è umoristicamente che evolve il dramma. Leonardo giudica che l’azione di un criminale “dev’essere perfetta”, ponendo l’esempio di un uxoricida la cui causa si discute in Cassazione. Per la moglie Maria è orrenda la sola idea di riposare per anni “con la testa sul medesimo guanciale e poi, un giorno, trovare nel proprio compagno il proprio assassino”. Confessando intanto a Leonardo di tradire Claudio, Clara chiede al suocero un alibi che permetta di salvare il matrimonio. Nel secondo atto, non appena si apprende che Leonardo ha sposato Maria dopo il suicidio della prima moglie, emerge il conflitto “edipico” fra padre e figlio: Claudio assomiglia alla madre. Maria, la seconda moglie di Leonardo, a sua volta materna verso il figlio del marito, vorrebbe metter pace fra i due, ma Claudio scopre il tradimento di Clara. Si giunge così, terzo atto, alla conclusione definitiva fra genitore e prole. Di fronte all’affermazione del figlio, secondo cui la propria somiglianza alla madre sconvolgerebbe il padre, quest’ultimo nega. Al che, come farebbe ogni psicanalista, Claudio denuncia il meccanismo della “Verneinung”: “Il tuo stesso diniego me lo conferma”. Vengono pertanto a trovarsi, padre e figlio, sull’“orlo di un abisso”: il baratro dell’ipocrita patriarcato borghese. Nella concitazione finale, quando Leonardo confessa di aver ucciso la moglie, a Claudio si rivela nel padre l’assassino della madre (anonima). Freudianamente “forclusa”, nasce così ‒ testa di Medusa ‒ la complicità fra padre e figlio: “È necessario che tu riprenda la tua maschera”, ordina al padre il figlio. L’uxoricidio resterà omertà per soli uomini: “Tu hai commesso un delitto per edificare la tua vita; non devi commetterne un altro portando in questa casa la vergogna e la desolazione”. L’onore di entrambi trionfa sull’amore materno: dietro la superficie dei romantici matrimoni borghesi e di ogni “complesso edipico” si nasconde ‒ patrimonio finalmente svelato da Tartufari ‒ il dramma del femminicidio.