Pellegrinaggio al "santuario" delle zitelle - Le Cronache
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Pellegrinaggio al “santuario” delle zitelle

Pellegrinaggio al “santuario” delle zitelle

Trionfo di Enzo Moscato al Teatro Ghirelli, in veste di autore, stavolta della pièce “Festa al celeste e nubile santuario”

Di ARISTIDE FIORE

Un dramma familiare sospeso tra lo spirituale e il grottesco ha segnato il ritorno di Enzo Moscato al Teatro Ghirelli di Salerno, dopo aver inaugurato la nuova stagione teatrale. In veste di autore e regista, lo scorso fine settimana il poliedrico artista napoletano, premio Ubu alla carriera nel 2018, ha riproposto “Festa al celeste e nubile santuario”, uno degli spettacoli che ne hanno consolidato il successo negli anni Ottanta. Concepito essenzialmente come commedia, questo spettacolo riesce sempre a divertire pur presentando accenti macabri, soprattutto nel finale, e svelando a poco a poco trame machiavelliche celate in un ristretto universo familiare apparentemente ben regolato e immutabile, nel quale l’ostentata devozione nasconde una carnalità repressa, l’apparente sicurezza degli affetti cela un profondo risentimento e la finta mitezza maschera insidie fatali. L’invenzione di Moscato non potrebbe tuttavia sortire l’effetto desiderato senza l’apporto di abili interpreti. Anche coloro ai quali è stata affidata questa edizione hanno saputo muovere con destrezza il meccanismo concepito dall’autore. L’aspetto spirituale, più misticheggiante che mistico, di questa vicenda, sottolineato in scena dalle musiche Claudio Romano e dalle luci Cesare Accetta, si riverbera anche attraverso i nomi biblici delle tre protagoniste, sorelle nubili che coabitano in un basso, mantenendosi grazie alla gestione di una bancarella. La scenografia di Clelio Alfinito e i costumi Daniela Salernitano infondono alla rappresentazione un certo carattere neorealista che al secondo atto vira verso il grottesco, palesando meglio, sotto l’aspetto visivo, la continuità di temi e atmosfere fra l’opera di Moscato e quella di illustri predecessori come Eduardo e Pasolini. Mediante questa formula ben collaudata, che raccoglie e fa proprie, arricchendole, prestigiose eredità, è stato possibile concentrare in un piccolo mondo domestico ciò che è proprio dell’intera umanità: brama di potere, egoismo, desiderio di libertà… Il controllo esercitato dalla sorella maggiore, Elisabetta (Lalla Esposito), sconfina nell’imposizione della castità giustificata da principi morali e religiosi. In realtà tutto ciò trae origine dalla gelosia nei confronti delle sorelle, dal disperato tentativo di costringerle a condividere l’ineluttabile condizione di zitella. La malcelata riluttanza con la quale la seconda sorella, Annina (Cristina Donadio), segue le direttive della maggiore, concedendosi appena possibile piccoli sfoghi, rivela fin dall’inizio la doppiezza del personaggio. È lei la vera figura dominante della famiglia. I suoi slanci visionari e l’annuncio ossessivo di un imminente evento miracoloso servono in realtà a ammantare di un’aura soprannaturale le conseguenze di una tresca con Toritore (Giuseppe Affinito), l’idiota del quartiere, coinvolgendo in questa colossale impostura anche Maria, la sorella minore affetta da mutismo, interpretata da Anita Mosca, la quale si è avvalsa della consulenza di Vincenza Modica per la Lingua dei Segni per rendere ancora più convincente un personaggio misterioso, che cela la sua vera natura fino all’epilogo. Alla fine, più niente è come sembrava. Il “servo sciocco” e la più debole delle tre sorelle trovano la libertà attraverso il delitto. Annina, nella sua ingenua perfidia, credeva di averla trovata procurando la cecità della sorella maggiore e ricattando la minore. Spetta a Moscato il merito di aver calato personaggi verosimili, più  ritratti popolareschi, che maschere, in una vicenda paradossale, tenendoli insieme con una fitta trama di parole che scaturisce dalla sua ben nota abilità linguistica.