Orchestra Martucci: disimparare la Musica - Le Cronache
Spettacolo e Cultura

Orchestra Martucci: disimparare la Musica

Orchestra Martucci: disimparare la Musica

Esecuzione imbarazzante di grandi classici della letteratura musicale da Prokofiev a Ravel per la formazione sinfonica della nostra massima istituzione musicale diretta Nicola Colabianchi

 Di OLGA CHIEFFI

 La luna vietrese, martedì sera, non ha potuto affatto danzare sulle note immortali del Sergej Prokofiev del ballo a Palazzo Capuleti dal Romeo e Giulietta, del Bela Bartòk della Tanz Suite, della celeberrima Danza delle ore di Amilcare Ponchielli dalla Gioconda, e, ancora, della Pavane di Gabriel Faurè, del Prèlude à l’après-midi d’un faune di Claude Debussy e del Bolero di Maurice Ravel. L’Orchestra del Conservatorio “G.Martucci”, affidata dal consiglio accademico e dal direttore Imma Battista alla bacchetta di Nicola Colabianchi, prestigiosa penna della testata in rete L’Indro, nonché docente di armonia della massima istituzione musicale salernitana, ha confezionato una delle sue più brutte e imbarazzanti figure del suo intervallato cursus. Quattro o cinque prove per leggere, interpretare ed eseguire un programma che fa tremare i polsi alle massime formazioni internazionali, proposto ad un’orchestra di ragazzetti, se pur tutti brillantemente diplomati, e qualche parte esterna, tra cui l’oboista Antonio Rufo e il violista Pasquale Colabene, stabili nell’orchestra del teatro Verdi di Salerno. Il risultato è veramente arduo da descrivere: pagine famosissime rese irriconoscibili da un direttore che, in Bolero, non si è nemmeno reso conto che l’unico ad aver eseguito il solo come scritto da Maurice Ravel, è risultato solo il trombone. D’altra parte, per quanti si fossero risparmiati lo strazio live, potranno rifarsi con i video-testimonianza in rete, prontamente postati. I ragazzi sono allievi e il conservatorio resta il luogo dove s’impara la Musica, non dove la si disimpara. Non si può credere che un istituto di alta formazione non abbia strumenti adatti a schizzare l’entrata di Giulietta nel ballo, o un oboe capace di mettere qualche nota, un corno inglese con un suono possibile, un ottavino presentabile, almeno dieci violini che suonino, “tutti”, e più di un unico violoncello. Si è, quindi, consapevolmente offerta, in pasto al pubblico, un’orchestra, allestita con audizioni non consone e soprattutto “retribuite”. E’ impensabile che un allievo debba essere pagato per un punto d’onore che, con sacrificio, impegno e abnegazione deve aspirare ad ottenere, ovvero rappresentare il magistero in cui si è formato. Non è educativo. Per un programma del genere, in cui il suono gioca, danza, è iridescente, inafferrabile, ibrido, instabile, bisogna dominare il proprio strumento, la sua “voce”. Principi resi invisibili, nascosti sotto la trasparenza la leggerezza del complesso sonoro e dissimulati dall’apparente sinuosità delle linee come in Debussy, un istante infinito ma carico di tensione con un’orchestra di vetro e al contempo lussureggiante, dove non abbiamo riconosciuto nemmeno le note, per non parlare delle danze di Amilcare Ponchielli, in cui anche il triangolo ha tradito la causa, ha lasciato costernati i diversi docenti presenti, ex allievi, unitamente a buona parte della platea. Il Bolero, poi che “tutti fischiettano e fischiettano male” (M. Ravel) ha un segreto che consiste in un tentativo continuamente ripetuto di far combaciare la melodia con la regolare scansione del tempo, che porta con sé degli elementi che contrastano con l’idea canonica di regolarità, componenti di quell’ibrido che ossessivamente affascina e che deve essere “eseguito con un unico tempo dall’inizio alla fine, nello stile lamentoso e monotono delle melodie arabo–spagnole”, scrive lo stesso Ravel il quale redarguì Mengelberg, che accelerava e rallentava in modo eccessivo e Arturo Toscanini, che lo dirigeva due volte più veloce del dovuto, è stato uno dei pezzi più martoriati e stravolto. Non desideriamo sparare sui ragazzi, colpevoli, in questa negativa esperienza, unicamente di non aver “protestato” il direttore Nicola Colabianchi, col suo folle programma, e in massa di aver deposto gli strumenti, lasciando il burattino sul podio abbracciato alla ballerina acchiappasogni di Olga Marciano, ma dobbiamo invitare a far ammenda, in primo luogo, i referenti dell’orchestra e, su tutti, il direttore Imma Battista, la quale deve accertarsi, di persona, frequentando le prove, di quanto va a proporre al pubblico, con la sua formazione “ammiraglia”. Martedì sera, abbiamo rimpianto le performancs dell’orchestra della Scuola Media “N. Monterisi” e dei vari ensamble del Liceo musicale Alfano I, i cui accorti docenti redigono scalette adatte per il livello tecnico dei giovani strumentisti. Il concerto, che ha inaugurato, il cartellone Vietri In Scena, firmato da Luigi Avallone, è stato anche inficiato, tra l’altro, da diversi ritardi, tra cui il trasporto dei timpani, la brevissima prova d’assieme, lanciata evidentemente dall’inesperto maestro concertatore da un punto difficilissimo delle danze di Ponchielli, con il pubblico già assiso nell’anfiteatro, presentando, in anteprima, un poco edificante biglietto da visita, gli spogliatoi della villa sporchi e maleodoranti, impraticabili per il cambio d’abito, il service incapace con i riflettori, prima oscurati per diverso tempo, quindi posizionati in modo che i ragazzi fossero quasi impossibilitati a leggere, in un mare di mosquitos. Speriamo vivamente che dopo questa debacle possa seriamente cambiare qualcosa, purtroppo il pessimismo ci attanaglia.