«Omertà e bugie, che vergogna» - Le Cronache
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«Omertà e bugie, che vergogna»

«Omertà e bugie, che vergogna»

di Erika Noschese

«Lo avevo ampiamento previsto, accade così da mesi e quasi non ci faccio più caso». Con queste parole Rossana Noris, vicepresidente della “Stefano Cucchi onlus”, ha commentato con i membri dell’associazione “Iperion” il risultato prodotto, in termini emozionali, dalla visione del film “Sulla mia pelle” ieri sera presso la sala Pasolini. Tante persone hanno lasciato la sala “per prendere una boccata d’aria”, oppure “per fumarsi una sigaretta”, o ancora perché non riusciva a trattenere le lacrime. Gocce di rabbia, delusione, dolore per una vicenda cruda che non condanna ma racconta, in modo brutalmente efficace, una pagina ancora irrisolta della giustizia italiana.
Al termine della manifestazione Rino, venuto da Battipaglia per assistere alla visione del film, ha così commentato il film: «È una delle tante, troppe storie di verità taciute, di soprusi disonorevoli dettati dai deliri di onnipotenza di persone schiacciate tra gli ingranaggi di macchinari mossi da regole fredde; regole concepite per aiutare l’uomo ma che, quando vengono interpretate male, arrivano a mettere da parte proprio il lato umano in nome di una giustizia uguale per tutti ma che livella così le persone dimenticando che ognuno è un mondo a sé e va compreso ed aiutato. Stefano Cucchi è mostrato nei suoi ultimi giorni vissuti, se così si può dire, percorrendo un penoso calvario in cui molti di coloro che incontra, voltano la faccia dall’altra parte per non vedere. Affrontare talune realtà palesi ma scomode dà fastidio a chi preferisce voltare pagina compilando un rapporto o una cartella clinica che acquietano una coscienza già addormentata e permettono di tornare al proprio piccolo, gretto mondo».
Luca, di Salerno, ha mostrato incredibile stupore per la crudeltà del racconto: «Stefano nei gironi del carcere e dell’ospedale vedrà tendersi una mano dai derelitti vittime o meno del sistema che soli possono comprendere il suo dramma, perché per primi lo hanno vissuto sulla propria pelle. I genitori nulla possono contro una macchina gelida e spietata che si nutre di complicati incartamenti, autorizzazioni mai rilasciate, permessi negati; vivono anche loro il calvario del figlio imprigionati tra quattro mura ed ammanettati dalla burocrazia che non gli lascia vedere un figlio che si avvia verso una fine terribile. Seguendo Stefano nelle corsie dell’ospedale si è talmente coinvolti dalla vicenda così magistralmente narrata, da percepire l’odore pungente del disinfettante, da sentire la sofferenza dell’uomo storcendo il viso in una smorfia di dolore mentre lui si gira sul letto in cerca di sollievo. Alla fine, l’uomo spezzato dalla spirale di violenza per timore della quale finisce col non credere nell’imparzialità di chi cerca di aiutarlo e nemmeno più nella giustizia, si chiude a riccio rifugiandosi in sé stesso e alla fine chiede della cioccolata… come fosse l’ultimo desiderio di un condannato a morte, che vorrebbe tornare bambino assaporando un ultimo scampolo di dolcezza prima di lasciare questo mondo».
Maria Lucia, venuta dalla provincia di Napoli per poter assistere anche al dibattito, è rimasta impressionata dalla figura di Ilaria: «L’immagine della sorella che desolata contempla la salma di Stefano non può non richiamare quella della Pietà di Michelangelo: un altro innocente è stato immolato sull’altare dell’ingiustizia. Cos’altro aggiungere?
Guardate questo film: probabilmente vi farà l’effetto di un pugno nello stomaco ma correrete il salutare rischio di essere risvegliati nella coscienza, una coscienza oggi forse intorpidita dalle banalità e volgarità che monopolizzano i social e ci portano a dimenticare la frase che ben si adatta all’immagine di Stefano, prostrato ed infine abbattuto dalla meschinità di responsabili che spesso rimangono senza volto».
Carolina, della provincia di Salerno, è tra le più scosse: «Omertà, bugie, interessi, potere ed occultamento; in una sola parola: vergogna. Stefano Cucchi era un tossicodipendente, spacciatore, una persona con tante fragilità e molti errori, ma soprattutto era un ragazzo di soli 31 anni che è morto per le percosse di chi avrebbe dovuto “difenderlo”, rieducarlo e reintegrarlo. Il film rispecchia in pieno la triste realtà in cui viviamo: la supremazia dei poteri forti che genera morte! Tutti siamo chiamati nella nostra professione e nel nostro piccolo a non girare le spalle difronte a tutto ciò affinché la giustizia non sia solo un ideale letto sui banchi di scuola, ma uno stile di vita».