Omaggio all'opera buffa con La serva padrona - Le Cronache
Spettacolo e Cultura

Omaggio all’opera buffa con La serva padrona

Omaggio all’opera buffa con La serva padrona

Questa sera, alle ore 20, il sipario del teatro Verdi si leverà su di una trilogia che raccoglie le pagine di Giovanbattista Pergolesi, Domenico Cimarosa e Lauro Rossi

 Di OLGA CHIEFFI

L’abbiamo tante volte invocato il periodo d’oro del teatro napoletano, che così bene sta nel nostro massimo, che Daniel Oren ci ha accontentato, affidando al direttore Ivano Caiazza e al regista Mariano Bauduin, una trilogia buffa, che raccoglie tre titoli fondamentali della produzione partenopea, “La serva padrona” di GiovanBattista Pergolesi, con Serpina regina degli intermezzi buffi, “Il maestro di cappella” di Domenico Cimarosa e per chiudere “Un maestro e una cantante di Lauro Rossi. In palcoscenico, da stasera alle ore 21, sino a martedì 29 maggio, tra le scene di Sara Galdi e i costumi di Marianna Carbone, tre veri esperti della tradizione della sirena Partenope, del suo dire teatrale e delle atmosfere che da sempre la circondano, il soprano Nunzia De Falco, il basso-bariton Filippo Morace e l’attore Raffaello Converso. Mariano Bauduin riprende la regia de’ La serva Padrona andata in scena al Teatro di San Carlo nel gennaio  del 2011, un vero e proprio omaggio al suo maestro Roberto De Simone, la cui voce ammaliante, socratica, dionisiaca, inonderà la platea ad apertura di sipario, quasi a “benedire” gli interpreti e le scelte che portarono al tempo a sottotitolare il gioiello pergolesiano “Intrattenimento a casa Di Giacomo”, tirando in ballo il poeta di “Era di maggio” metafora stessa di De Simone, che ci farà ritrovare nel salotto liberty del Di Giacomo intorno al 1915. Vespone nella serva di Bauduin, non sarà muto, ma sarà protagonista di un “ intermezzo nell’intermezzo”, evocando la siciliana “Chi disse ca la femmina sa cchiù ‘e farfariello”, da “Lo Frate ‘nnamurato”, cantata dalla serva Vannella. Nel Maestro di Cappella di Domenico Cimarosa, ritroveremo invece il progetto de’ Il maestro di cappella dei mendicanti, un’opera contemporanea che porta in scena una graffiante considerazione sul degrado culturale di un’epoca, con le sue contraddizioni, le sue burle, le sue possibili redenzioni, già visto al Napoli Teatro Festival nel 2013. Cantanti e musicisti, impresari e attori, le mogli e i mariti, gli amanti e i figli, sono i protagonisti di questo variegato mondo che mette in scena intermezzi e farse, tra serissimi melodrammi: dalla Dirindina di Scarlatti dal Fioravanti de Le Cantatrici villane sino al Giovanni Paisiello, che saluterà in scena ancora Filippo Morace alla guida dell’Orchestra Filarmonica Salernitana, la sua Signora Antonella Morea, una cantarina, Nunzia De Falco, un lacchè Armando Aragione e un chitarrista Edo Puccini. Finale di partita con “Un maestro e una cantante” di Lauro Rossi, uno spettacolo andato in scena in tempi moderni solo lo scorso anno, grazie alla revisione ed orchestrazione di Ivano Caiazza il quale ha ricostruito da uno spartito per canto e pianoforte la partitura completa. Nel 1867 l’operina debuttò a Torino ottenendo molto successo sia per la sua gradevolezza che per la divertente ironia comicità. L’opera inizia con il maestro di musica (Filippo Morace un vero animale da palcoscenico) che rincasa e siede al pianoforte per comporre. Le dita scorrono sulla tastiera e ne escono temi intriganti ma egli stesso scopre che non sono suoi: sono di Verdi, Donizetti, e così via. Che fare? Abbandonarli? Ma no! Li scrive. Chi se ne accorgerà? L’ironia è evidente. Improvvisamente bussano alla porta. E’ una bella signora, una cantante, il soprano Nunzia De Falco. Gorgheggia e proclama di sapere più lingue, ma poi dichiara perché è lì: vuole che il maestro le insegni una canzone napoletana di successo: “Fenesta vascia”. Il maestro, che non è napoletano, non capisce, pronuncia male e in maniera ridicola il titolo, ma poi alla fine si siede al pianoforte e l’accompagna. Il risultato è naturalmente eccellente , poiché il napoletano è musica già di per sé.