Oltre i confini: politica vs magistratura - Le Cronache
Cronaca

Oltre i confini: politica vs magistratura

Oltre i confini: politica vs magistratura

 

Bagno di folla per Piero Tony e Giuseppe Gargani che hanno presentato i propri volumi nel salone di palazzo Sant’Agostino

Di Olga Chieffi

 “La situazione di oggi è questa, una magistratura corporativa e politicizzata, vistosamente legata ai centri di potere, che non urla per protestare contro un sistema che l’ha resa inutile, ma anzi continua a opporsi in modo sistematico a qualsiasi progetto di riforma dell’esistente. È probabilmente l’effetto del piccolo cabotaggio delle varie campagne elettorali, attente più agli indubbi privilegi di categoria, compresi quelli economici, che ai modi per sanare un sistema spesso inefficiente. Piccolo cabotaggio che però non impedisce – soprattutto per quell’assenza di complessi sottesa a una politicizzazione così anomala – di agire e pontificare non solo in casa propria, ma in relazione a buona parte dei grandi temi politici nazionali e internazionali senza tema di essere apostrofati con un “taci, cosa c’entri tu?” .  E’ questa una delle affermazioni di Piero Tony, racchiusa nel suo ultimo volume “Io non posso tacere. Confessioni di un giudice di sinistra”, pubblicato dalla Einaudi. Veti segreti, riforme non fatte, correnti che diventano partiti, processo mediatico, protagonismo politico, questi i temi di cui ieri pomeriggio in un lungo e appassionato dibattito, si è discusso in un affollatissimo salone di rappresentanza di palazzo Sant’Agostino. Confessione dall’interno della magistratura quella di Piero Tony, a cui specularmente è stato affiancato il volume di Giuseppe Gargani “In nome dei pubblici ministeri” uscito per la casa Koinè nel 2012, già alla terza edizione, una denuncia questa che viene dal mondo della politica, da parte di un convinto garantista. Piero Tony, ex capo procuratore di Prato ed ex procuratore generale di Firenze, da sempre iscritto alla corrente più di sinistra della magistratura, elogiato durante il processo Pacciani da Indro Montanelli sulla prima pagina del “Corriere della Sera”, ha scelto di rinunciare al suo ruolo con due anni di anticipo per protestare contro un fenomeno tutto italiano: la gogna mediatica. Da dietro le quinte, denuncia il modo in cui alcuni magistrati hanno trasformato gli strumenti di indagine in armi puntate sui cittadini, usate per combattere battaglie politiche più che battaglie giudiziarie, e spiega quali riforme (che ogni governo promette e nessuno promuove mai) potrebbero combattere definitivamente il virus che da anni distrugge la giustizia nel nostro Paese. Saltano i confini tra la politica e la magistratura. Salta la distinzione dei ruoli. Oggi è solo tautologia dire che la magistratura è partitizzata, non si tratta di un’opinione, è un dato di fatto. Esistono le correnti, esistono i magistrati che professano in tutti i modi il loro credo politico.  Diversi gli spunti offerti dopo i saluti istituzionali del vicepresidente della provincia e padrone di casa Sabatino Tenore, da Antonio Laudati sostituto procuratore del pool antimafia, alla domanda del moderatore Antonio Manzo, su quanto fosse difficile archiviare il codice etico della giustizia italiana. I rapporti malati tra giustizia e politica esistono da sempre – ha affermato Antonio Laudati- sin dal 70 a.c. con le verrine di Marco Tullio Cicerone, il quale costrinse il corrotto e ladro governatore della Sicilia Gaio Verre ad andare in esilio, mentre lui avviò brillantemente la sua carriera politica”. I mali della giustizia sono tanti la lentezza del processo da una parte e la gogna mediatica dall’altra, la mancata riforma cui tutti anelano, ma che nessuno attua, concludendo il suo intervento con una frase del nostro Francesco Mario Pagano “Povera è quella civiltà ove la condizione dell’imputato è più critica di quella del condannato”. Umberto Ranieri è stato introdotto da Manzo con le parole più dure della lettera che Sergio Moroni scrisse al Presidente della Camera prima del suicidio nel settembre del 1992 “Ma quando la parola è flebile, non resta che il gesto”.  Ranieri ha ammesso gli errori della sinistra in primo luogo per aver condotto la magistratura ad essere supplente nel lavoro che la politica avrebbe dovuto svolgere nella lotta contro il terrorismo, contro la mafia, contro la corruzione, trasformando i magistrati in eroi con la speranza che essi avrebbero cambiato, migliorandolo, lo stato alle radici. Venne creata così un’elite, una casta tesa a promuovere se stessa e ad attaccare i politici corrotti. Il top è avvenuto nel ventennio berlusconiano, in cui sono state promulgate leggi ad personam, mentre la magistratura si è affidata alle intercettazioni, al sospetto, alla gogna mediatica alla violazione del segreto istruttorio. Fulvio Bonavitacola si è posto sulle stesse tracce di Ranieri, affermando che la sinistra nasce per difendere i diritti, lo ha nel d.n.a, missione che ha tradito per sconfiggere Berlusconi. Infatti, nel momento in cui bisogna ricorrere alla magistratura per vincere una battaglia politica essa stessa ne esce sconfitta. “Ora siamo in una specie d’interregno – ha continuato Bonavitacola – la politica ha perso d’autorevolezza, poiché l’assidersi su uno scranno è divenuto un mestiere di gente senza arte né parte. Si è perso il principio d’ordine, il progetto, siamo in una repubblica dei cortili, non si pensa al pubblico, ma al privato. “Questi due volumi – ha affermato Guglielmo Scarlato – insegnano come il politico deve rispettare il magistrato e come il magistrato deve rispettare il politico. Diverse volte la politica ha scantonato come nel caso della Banca Romana o nel processo Matteotti, lo scandalo Lockheed e la frase di Aldo Moro “Non ci faremo processare nelle piazze”, circa la questione dell’immunità parlamentare. Vari gli esempi scelti da Scarlato per dimostrare come i forcaioli si sono trasformati in garantisti ed il contrario, dal discorso di Craxi del 1993 la revoca consenziente da parte di Scalfaro e Amato del decreto Conso, che di legge in legge ha portato ad un deperimento della democrazia, generando una classe dirigente non più degna delle nostre altissime radici repubblicane che donano diritti al popolo e impongono pari doveri.