Muti: il futuro e la memoria - Le Cronache
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Muti: il futuro e la memoria

Muti: il futuro e la memoria

Questa sera, Riccardo Muti debutta alla testa della sua orchestra “L.Cherubini” al Ravello Festival, con un programma che spazia da Cimarosa a Schubert. Ospite del “Maestro” il soprano Rosa Feola, per un cameo lirico

Di Olga Chieffi

Sarà un programma che omaggerà la grande tradizione musicale italiana con un finale schubertiano, quello dell’atteso debutto di Riccardo Muti al Ravello Festival. Mancava la bacchetta del maestro pugliese al palmares di uno dei Festival più antichi d’Italia e stasera alle ore 20, 30 nell’Auditorium Niemeyer questa mancanza verrà finalmente colmata. Adatto ai giovani strumentisti, dell’ Orchestra Luigi Cherubini, il programma scelto, a cominciare dall’Ouverture de “Il Matrimonio Segreto” di Domenico Cimarosa, che presenta una compagine tipica dell’opera italiana di fine Settecento, con un uso assai parco degli strumenti a fiato che non vengono tanto valorizzati per le loro specificità e, dunque, per il loro colore, ma impiegati in quanto “gruppo”, finalizzato a produrre massa orchestrale. La sinfonia è introdotta da un Largo che occupa non più di tre misure: lo spazio sufficiente per marcare con tre lunghi accordi in battere l’accordo di tonica di cui vengono messe in rilievo le tre note fondamentali. La versione finale dell’Allegro è in forma di sonata con esposizione, sviluppo e ripresa. Quindi, la ribalta sarà per intero del soprano casertano Rosa Feola, la quale ha scelto di esordire con la grande aria di Donna Anna “Crudele!….Non mi dir, bell’idol mio” dal Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart, una pagina di dolce lirismo nella quale la nobildonna cerca di riconquistare Don Ottavio. Come i personaggi metastasiani, Donna Anna non interagisce con gli altri personaggi, rimanendo sempre chiusa nel suo isolamento, quasi parlando a sé. Don Ottavio che la segue come un’ombra, ne è quasi infatti una controfigura, lamentosa e a tratti sospirosa, alla quale manca la pressione nervosa, ma non certo il coraggio. In questa grande aria conclusiva, tuttavia, ciò che conta è la scelta formale del compositore: si tratta infatti del Rondò, una forma di aria in due tempi (Adagio-Allegro), che nell’opera seria di fine ‘700 era sempre assegnato ai personaggi principali, sempre di alta levatura sociale, e sempre per le prime donne delle compagnie. Una splendida introduzione orchestrale, all’interno della quale emerge la voce del corno che intona una melodia tipicamente belliniana piena di pathos, condurrà poi, il pubblico negli appartamenti di Giulietta che, nel raffinato recitativo (Eccomi in lieta veste) caratterizzato da eterei interventi dell’arpa, mostra tutto il suo tormento per un matrimonio che le è imposto. Introdotta dal suono soave dell’arpa e dei legni, la sua cavatina “Oh! quante volte oh quante volte” nella quale Giulietta esprime in un tono elegiaco tutto il suo amore per Romeo, che pur traendo il materiale melodico dalla giovanile cavatina di Nelly (Dopo l’oscuro nembo) dell’Adelson e Salvini, resta una delle pagine più struggenti della partitura che sembra anticipare Ah non credea mirarti della Sonnambula. L’intervento di Rosa Feola sarà sigillato dalla “Ave Maria” dall’Otello di Giuseppe Verdi. Rimasta sola, Desdemona si avvicina all’inginocchiatoio che ha dinanzi una effige della Madonna e prega la sua accorata supplica: sarà l’ultima. Dal punto di vista propriamente musicale, il brano è un vero gioiellino: c’è tutta un’orchestra ad accompagnare le ultime disperate parole di Desdemona, che lo fa con una delicatissima tenerezza. I marcati accordi pianissimo, con rapidi colpi di grancassa, presagiscono la triste fine. I lenti e numerosi cromatismi aumentano il clima arcano; l’intonazione grave del canto tende ad esporre in suoni scuri il senso della preghiera, l’Amen finale, che sigilla il tutto riportando i cromatismi suddetti alla rigorosità di una tonalità ben precisa, chiude il canto e, con esso, l’esistenza terrena di un amore sventurato. Finale del set dedicato all’opera italiana con l’ouverture de’ “I due Figaro” opera perduta di Saverio Mercadante, della quale l’unica parte conosciuta ed eseguita è proprio la sinfonia che venne ridotta per pianoforte da Ricordi che la pubblicò con il titolo “Sinfonia Caratteristica Spagnola nell’opera buffa I due Figaro del Sig. Maestro Saverio Mercadante”, praticamente un sequel delle Nozze di Figaro, il cui titolo nasce da un momento all’interno dell’opera nel quale il Conte cerca di scoprire la verità su Cherubino, e lui si schermisce dicendo di essere Figaro. L’ultima parte della serata sarà interamente dedicata all’esecuzione della sinfonia n. 8, in si minore, D. 759 “Incompiuta” di Franz Schubert. Alla morte del genio viennese, risultavano completati solo i primi due movimenti, Allegro moderato e Andante con moto, mentre di un terzo movimento resta l’ abbozzo dello Scherzo e delle prime battute del Trio. Molti hanno teorizzato che Schubert potrebbe aver abbozzato un finale che invece è diventato il grande entr’acte in si minore dalle sue musiche di scena per Rosamunde, ma ciò è tutto da dimostrare. “Chi potrà fare qualcosa di più, dopo Beethoven?” annota Schubert in uno dei suoi carteggi, ma l’“Incompiuta” è un’opera del tutto originale, una gemma rimasta nascosta fino alla prima esecuzione solo nel 1865. La Sinfonia in si minore è un tentativo – assolutamente riuscito nonostante la sua incompiutezza – di dare una risposta a tale domanda. Mentre in Beethoven ogni elemento concorre a costruire una possente architettura e soltanto in quella assume il suo pieno valore, Schubert esalta il valore autonomo del potere ammaliante della melodia, degli espressivi coloriti dell’armonia e del fascino suggestivo del timbro, come incantato in una mesta meditazione senza via d’uscita.