Morte e trasfigurazione di Paolo Borsellino - Le Cronache
Spettacolo e Cultura

Morte e trasfigurazione di Paolo Borsellino

Morte e trasfigurazione di Paolo Borsellino

Il sipario dello spettacolo “Paolo Borsellino Essendo stato”, scritto da Ruggero Cappuccio si leverà sabato 8 marzo su quell’istante fuori del tempo, l’istante infinito delle 16,58 del 19 luglio 1992. E’ il momento della morte di Borsellino, che Cappucccio, il quale sarà anche interprete della sua piéce, intende scegliendo quale riferimento filosofico Bergson e la sua contrapposizione tra tempo-vissuto, tempo interiore e tempo-spazio. Il tempo si cristallizza: quale autosufficienza dell’istante assume una dimensione sacrale, iniziatica, misterica; è l’atto, la vita stessa nella sua pienezza. La lite, la turbolenza, l’odio originario, il furore umano racchiuso nella deflagrazione, che segna la morte “fisica” di Borsellino, ci apre all’esercizio filosofico, a quel compromesso col sogno, vissuto dal giudice. Borsellino-Cappuccio, fa confluire le proprie ultime forze nella sua “fine”, di qui nel flusso immenso di questa fine, bisognerebbe tentare il salto in una morte individuale, nella propria morte, giacchè, pur nella comunione cosmica di destini, un cammino del tutto personale non ci è risparmiato. Questo tempo che viene meno, questa vitale morte del tempo, modificherà anche l’accoglimento del messaggio, l’esperienza della parola vera: non sembra di poter concepire altro tempo che istantaneo per tale esperienza del limitare tra la vita in questo mondo ed altre possibili dimensioni. Si tratta, questa volta, di una morte per conseguire un diverso destino, un diverso corso di vita, un diverso presente da ciò che sembra prefissato nel binario implacabile dell’umaniforme senso comune. Come potremmo non profittare della morte allora, come afflusso e aggiunta di forze per l’avventura; come potrebbe la morte non essere aperta su tutti i lati? Come potremmo pur spaventati, pur combattuti, non ospitare la morte nel nostro giorno? Il nostro giorno è un tempo, la morte un istante. Ecco che la morte di Borsellino diventa una possibilità (non la necessità e certezza) . Borsellino ritorna alla terra, l’asfalto non c’è più, siamo alla soglia del senza suono. Il suo ritorno alla terra è comunque gioioso. Si acquista gioia a cominciare dalla fine. Ora ancor meglio tocca come la fine, per ogni cosa, sia subito negli inizi, che sono gioia, che hanno perduto la gioia. Ma l’uomo che ha perduto la gioia, che è così pronto a perderla in ogni sua impresa ed evento , come è un uomo della fine – un uomo da sempre e per sempre moderno, chè la religione della modernità arriva quando la gioia ha fine, cioè subito, bruciando tempo e vicenda od evento – è uomo appena iniziato, appena creato. Un uomo primordiale, uomo dell’inizio: il segreto bambino. L’inizio è mitico ed ecco sopraggiungere Antigone, simbolo di un conflitto vissuto con estrema dignità e concluso con una morte eroica. Antigone crede nella libertà, una libertà che si colora di riflessi politici. Le antiche Antigoni siciliane, sciolti i capelli, voci liberate, “spiranti”, poetanti, quali corpi sonori, accorrono al sudario di Borsellino spinte dal senso religioso del ghénos, del culto dei morti, che racchiude in sé la stessa radice di “ghe” terra e di “getheo”, gioire. Gli spazi divengono labirintici, come la reggia dell’Antigone alfieriana, metafora della crisi di un’istituzione e di un’identità psichica continuamente messe in dubbio; figura attraverso la quale si esprime la penetrazione nella coscienza del notturno, anche complesso, di un carcere senza nome, quale diviene il Palazzo di Giustizia di Palermo, e dello sdoppiamento della persona come linguaggio onirico dell’inconscio. Nel Palazzo di Giustizia di Palermo ogni vittima della mafia occupa una stanza: tutto è bianco, pulito, tutto è silenzio: Chinnici, Basile, Spatola, Cassarà, Dalla Chiesa, Impastato, Scopelliti, Grasso, Falcone, sono ospiti, sono stati lasciati “soli” dallo Stato, sono caduti, per mano di Cosa Nostra, attendono Paolo Borsellino, che ha già scelto la sua camera, di fronte all’amico Giovanni, con il quale ha giocato la partita della vita. Sono questi gli estremi i luoghi e i tempi della morte. Morte allora si svela, diviene guardare direttamente nel “proprio” volto, il volto del bambino in fondo al pozzo, conservato sotto acque lustrali. Il segreto bambino, “lustrato” da chi lo ammira e ama, donerà loro una nascita, una nuova era, la realizzazione di un sogno, l’eredità di chi è morto per servire uno “Stato così come dovrebbe essere” (G.Falcone).  Olga Chieffi