Morire, dormire, sognare: Homologia - Le Cronache
Spettacolo e Cultura

Morire, dormire, sognare: Homologia

Morire, dormire, sognare: Homologia

DispensaBarzotti ha chiuso la terza stagione Mutaverso firmata da Vincenzo Albano che si è congedata da un pubblico sempre crescente con grande successo di critica

 Di GEMMA CRISCUOLI

Se pensate che una vecchia carcassa non abbia più nulla da offrire, vi sbagliate. Mai  sottovalutare un’anima non ancora assopita. Rocco Manfredi e Francesco Napoli, diretti da Alessandra Ventrella, hanno profuso tutte le proprie energie in “Homologia”, lo spettacolo della compagnia DispensaBarzotti riproposto con successo al Centro Sociale a conclusione della terza stagione di Mutaverso, diretta da Vincenzo Albano. Affidata interamente al gesto e a maschere cupamente rugose, la messinscena esplora attraverso un linguaggio da illusionista la possibilità di ritrovarsi. I trucchi da mago mostrano che la realtà non può appartenere ai soli sensi né a una sola prospettiva. Il foglio di giornale che si solleva sulla testa dell’anziano legato a gesti ripetitivi allude allo smarrimento delle facoltà cognitive ma anche al bisogno di giocare con la monotonia per darle scacco. La radio sormontata da un minuscolo fuoco d’artificio per festeggiare il compleanno del vecchio, con tanto di capellino e torta propri dell’infanzia, ha un grande valore evocativo, perchè capta quelle “voci di dentro” che attendono il risveglio. Le scatole da regalo che piombano sul palco sono al tempo stesso beffarde e consolatorie: esprimono il carattere illusorio della vita, ma sono anche esortazione a donarsi a se stessi, cercando un nuovo inizio (i simboli del compleanno) e la forza di protrarlo (il giovane che emerge dalla scatola più grande). La gioventù è tuttavia qualcosa di sclerotizzato nel passato (i faticosi tentativi di animare il ragazzo da parte dell’anziano) e lo sdoppiamento del protagonista culmina nel naufragio (le pose plastiche che li rendono l’uno testimone della morte dell’altro). Solo incontrando un altro se stesso infatti si può avere l’esatta misura del limite e dell’occasione di varcarlo. L’abbandono dell’attempato fantoccio sulla poltrona mentre i due giovani soffiano sulla candelina rimanda alla liberazione dal corpo, dalla noia, dalla sterilità, ma non si può escludere che le due figure siano l’ultimo, testardo sogno di chi ha dovuto arrendersi al nulla. L’attenzione della compagnia DispensaBarzotti all’inquietante e alla diversità ha trovato conferma in “Victor”, dove la vicenda di Frankestein è stata la premessa per una ricerca spietata e necessaria delle pulsioni che conducono a non bastarsi. La stagione ha proposto spettacoli accomunati dall’impossibilità di sfuggire alle proprie scelte. Il “Cantico dei Cantici” di Roberto Latini ha narrato un bisogno d’amore inesausto e perennemente frustrato dall’incapacità di comunicare. Federico Dimitri e Francesco Manenti, diretti da Elisa Canessa, hanno illustrato con il loro “Hallo! I’m Jacket!” la morte di ogni senso della performance artistica, ridotta a vuoto, ossessivo rituale. Usando tutte le armi dell’ironia, Marta Cuscunà ne “La semplicità ingannata” ha dato corpo e anima alla solitudine delle religiose, scomoda zavorra del potente di turno. L’anormale normalità odierna, che accetta carnefici ma non sognatori, è stata oggetto della compagnia Sotterraneo con “Be normal!”, con  Sara Bonaventura e Claudio Cirri, su drammaturgia di Daniele Villa. La solidarietà degli esclusi e degli invisibili dinanzi a un mondo cieco ha trovato nel lirismo malinconico di “Nta ll’aria” di Tino Caspanello un’affascinante realizzazione. L’incomprensione costruita da meccanismi nevrotici ha visto all’opera la Compagnia Teatro presente con “The hard way to understand each other”,dove Adalgisa Vavassori ha diretto Gabriele Ciavarra, Daniele Cavone Felicioni, Clelia Cicero, Julio Dante Greco, Adele Raes. Il pubblico ha premiato questa scelta coraggiosa. Il teatro del resto deve raccontare ciò che non si ha il coraggio di comprendere.