Mons Scarano: «Mister 500? Quei soldi per le famiglie bisognose di Salerno» - Le Cronache
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Mons Scarano: «Mister 500? Quei soldi per le famiglie bisognose di Salerno»

Mons Scarano: «Mister 500? Quei soldi per le famiglie bisognose di Salerno»

di Tommaso D’Angelo

Porta Rotese. Cuore antico della città. Al primo piano l’abitazione di Mons Nunzio Scarano, ex contabile dell’APSA, l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica. Per la prima volta apre le porte della sua casa alla stampa. C’è un’aria di fede e di Dio che ti avvolge subito, un credente ne sente l’odore e la gioia. Le pareti del salone sono circondate da quadri molto belli che attirano lo sguardo immediatamente. “Sono delle copie – mi precisa Don Nunzio – opera di don Luigi che è al suo fianco. Non sono originali né sono il mio tesoro, come è stato detto. L’unico quadro originale me lo regalò il maestro Mario Carotenuto quando fui ordinato sacerdote. Un Ecce homo in bianco e nero che sgorgava lacrime rosse. Carotenuto mi disse che si era punto un dito e che con quel sangue le aveva disegnate”. Il tempo di un ottimo caffè e si va a ruota libera. Si nota la voglia di parlare dopo anni di silenzio per le note vicende giudiziarie. Mister 500, così fu definito Monsignore. Secondo i più maligni teneva nel portafogli sempre alcune banconote di grosso taglio. “Mi dispiace per quell’appellativo. Per anni quei soldi che mi provenivano dalle donazioni hanno sfamato decine di famiglie salernitane e romane. La mia carità cristiana era lontana mille miglia dai riflettori e oggi che non possiedo più niente, sono stato sospeso dallo stipendio da 82 mesi e non ho ricevuto nemmeno la liquidazione, so bene che significa essere in difficoltà. Potrei citare tanti esempi di sostegno ai più deboli, casi umanitari di cui mi sono sempre assunto la responsabilità e non solo economica per aiutare il prossimo. E Antonio D’Amico è stato un generoso sostegno per queste persone.”.

Oggi invece…

“Cambiano strada per non salutarmi –afferma con un pizzico di amarezza don Nunzio. Non solo le persone che hanno beneficiato del mio aiuto ma anche dei sacerdoti. Ho chiesto aiuto a Mons Moretti e me lo ha rifiutato, ho scritto a Mons Bellandi e non mi ha nemmeno risposto. Io mi sento più prete di prima, la sofferenza ha rafforzato la mia fede. Hanno umiliato il prete non l’uomo.Sono addolorato per non poter celebrare Messa o vestire il mio abito sacerdotale. Mi addolora non poter assistere alla Santa messa nelle chiese salernitane o poterci entrare liberamente. Toccate l’uomo ma non il Cristo che è dentro di me. Io li perdono ma dovranno un giorno presentarsi davanti a Dio dove non potranno giustificarsi”.

Come nasce don Nunzio uomo di Dio

“Lavoravo in un istituto di credito –ricorda il sacerdotee poi ebbi la chiamata del Signore. Ho lasciato il mio posto in banca dove ero un funzionario, mica uno qualsiasi, avevo agiatezza e belle ragazze. Ho lasciato tutto per seguire la mia vocazione abitando a casa delle mie zie. Sono entrato in Vaticano e non mi sono sporcato le mani nemmeno per un caffè. Ricordo che il primo giorno a Roma fui accompagnato da Antonio D’Amico, un uomo che mi ha insegnato correttezza, umanità, umiltà. Sei in un covo di vipere si raccomandò prima di lasciarmi. Ero l’unico sacerdote tra laici ma ho sempre fatto il mio dovere e pensate che ho sposato i figli dei dirigenti. Io ho servito la chiesa e non me ne sono servito”. E allora come finisce nel tritacarne della Giustizia con accuse anche gravi come l’usura e il riciclaggio? “Hanno abusato della mia persona e della mia generosità –afferma don Nunzio – le persone che hanno bussato alla mia porta non erano tutte persone perbene. I miei problemi nascono dagli ambienti del Vaticano a cui si erano avvicinate persone come detto poco raccomandabili. Probabilmente ho detto troppi no e non me ne pento. Sono stato costretto a pagare 400mila euro, hanno tentato di avvelenarmi nel 1997, poi pensarono di allontanarmi con la nomina a vescovo di Pompei. Dissi di no, i beni erano comunque della Chiesa e non mi sarei liberato della loro morsa. Da qui l’accanimento nei miei confronti ma la verità verrà fuori”. I suoi rapporti con i D’Amico e la famosa valigetta… “Antonio D’Amico lo chiamavo zio – ricorda con commozione don Nunzio. Era un uomo generoso con i più poveri e verso la chiesa. Fece restaurare il sarcofago di Gregorio VII, ricordate certamente il suo impegno per la Pia Casa di ricovero ma potrei citare decine e decine di esempi. Sulla vicenda di far rientrare dalla Svizzera in Vaticano i 40 milioni di euro degli armatori D’Amico dico che nulla fu fatto anche se avvisai gli stessi D’Amico di non fidarsi di quelle persone con cui avevano probabilmente fatto degli affari. Quell’operazione non fu mai fatta”.

Siamo scivolati inevitabilmente nella parte giudiziaria ma per questo ci saranno i giudici a dare una risposta.

“Ma io ho fiducia nella Giustizia pur avendo sopportato tante bugie scritte e dette in questi anni”.

Torniamo all’uomo, al sacerdote, che da uomo potente è rovinato nella polvere conoscendo l’altra faccia della medaglia. Ma la fede che è in Lui fa capire è pronto a riprendersi la sua vita.

“Il mio sogno nel cassetto è una casa per malati terminali, per dare una morte degna a chi ci lascia nella sofferenza. Con il mio sostegno e quello dela Rotary è stata creata una salata d’attesa davanti alla Rianimazione degna di questa nome. Vorrei completare questo percorso di sostegno agli ammalati e alle loro famiglie. Fossi l’ultima cosa della mia vita ci riuscirò”.