di Andrea Pellegrino «Avevo preparato una bozza di integrazione, (o meglio una reiterazione) all’ultima richiesta di autorizzazione avanzata dal Comune sul progetto esecutivo del Crescent ma Zampino mi disse che non era necessaria». Ieri pomeriggio Gennaro Miccio, ex soprintendente di Salerno (oggi segretario regionale della Soprintendenza del Molise), è stato teste nell’ambito del processo Crescent. Lui non è tra gli imputati a differenza di Zampino, suo predecessore a Salerno e all’architetto Villani, dirigente per due fasi amministrative del procedimento Crescent alla Soprintendenza di Salerno. Ora Miccio ritornerà in aula il 27 ottobre per la prosecuzione dell’interrogatorio da parte dei pubblici ministeri Alfano e Valenti e per il controesame degli avvocati della difesa. E nel giorno di Miccio, all’udienza di ieri si è assentato il “suo” ministero, quello dei Beni Culturali parte lesa nel procedimento in corso che vede tra gli imputati l’attuale governatore della Campania Vincenzo De Luca. Cronologicamente, Miccio ha seguito la vicenda Crescent, come dirigente dal 2009 fino alla nomina a Soprintendente di Salerno. Prima e dopo la “pratica” è passata all’architetto Giovanni Villani. Descrive quello che ha letto e scritto ed anche quello che non ha mai ricevuto. Atti, mostrati dal pubblico ministero, che non sarebbero mai arrivati sulla scrivania di Miccio, benché indirizzati a lui. La vicenda descritta ieri, risale quasi all’origine dell’intervento di riqualificazione dell’area di Santa Teresa. Sulla scrivania di Miccio arriva il progetto esecutivo da parte del Comune di Salerno. L’allora dirigente chiede una integrazione a Palazzo di Città. Il 3 agosto 2009 inoltra la nota per richiedere l’autorizzazione paesaggistica (non allegata al progetto esecutivo) e nello stesso giorno – a distanza di poche ore – ottiene anche la risposta del Comune, che leggerà soltanto il giorno successivo. In pratica, il dirigente comunale si rifà al progetto definitivo già visionato dalla Soprintendenza senza intoppi. Una risposta che a Miccio, in quello momento ancora in veste di “semplice” dirigente non convince al punto che reitera la richiesta. Ma stavolta a firmarla sarebbe dovuto essere direttamente il Soprintendente dell’epoca, ossia Giuseppe Zampino. Miccio predispone la bozza – di cui non c’è più traccia – ma la nota non viene mai firmata. Zampino a voce replica – a detta di Miccio – a quel che sarà il suo successore: «Non occorre, ci bastano gli atti trasmessi ed allegati al progetto definitivo». A domanda del pm («cosa accadde immediatamente dopo?») Miccio risponde: «Non è accaduto nulla. Io ero contrario a quella procedura. La prassi vuole che anche sul progetto esecutivo venga acquisita l’autorizzazione paesaggistica. Cosa che non era stata fatta dal Comune di Salerno. A voce Zampino mi ha detto: “Va bene così” ed io non ho più trovato quella mia richiesta». Ma quella bozza non è l’unica carta che Miccio non trova più. Infatti, la nota della Direzione regionale indirizzata – anche a lui – sulla sua scrivania non è mai arrivata. Nella lettera, la Direzione regionale offriva il suo contributo alla risoluzione del caso Crescent. Ma Miccio solo successivamente avrebbe recepito la nota, recuperata da lui stesso nella sede napoletana della Direzione regionale. Ma l’ex soprintendente ricorda anche quasi all’atto della sua nomina alla guida degli uffici salernitani (avvenuta il 27 ottobre 2010) una ispezione ministeriale, sollecitata da alcune interrogazioni parlamentari sul caso Crescent. Anche in questo caso non tutte le carte finirono sulla scrivania di Miccio, seppur dall’ispezione emersero anche perplessità sulla procedura utilizzata per l’autorizzazione alla realizzazione dell’opera a Santa Teresa. E l’ex soprintendente non nasconde cosa avrebbe fatto lui. Anche quando il pm gli mostra sette fotografie del rendering arrivate nel febbraio 2009 all’attenzione della Sovrintendenza: in esse era visibile solo l’opera. «In questo caso parlo da tecnico», annuncia Miccio (all’epoca la pratica era in mano a Villani e quindi a Zampino): «C’è solo l’opera che non è inserita nel contesto. Mentre la norma è chiara. Mi sarei aspettato di vedere il Crescent e la piazza inseriti nel contesto in cui si trova: il mare, le colline ed il castello Arechi». Ed invece le foto trasmesse dall’ingegnere Lorenzo Criscuolo, già dirigente del settore urbanistica comunale, raffiguravano solo le opere di Santa Teresa. E nulla più. Prossima udienza ora il 27 ottobre. Prima, il 14, è fissato il riesame per il dissequestro del cantiere Crescent.
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