Marco Cacciola: silenzio cantatore - Le Cronache
Spettacolo e Cultura

Marco Cacciola: silenzio cantatore

Marco Cacciola: silenzio cantatore

Successo di critica e pubblico per la prima regionale di “Farsi Silenzio” prelude alla IV Stagione di Mutaverso Teatro, firmata da Vincenzo Albano

Di OLGA CHIEFFI

 Quanta strada nelle scarpe consunte di Marco Cacciola, che abbiamo applaudito a Salerno tra le antiche pietre di Santa Apollonia, in cui tutti noi abbiamo fatto parte dello spettacolo performance “Farsi Silenzio”,un delizioso prelude alla IV stagione di Mutaverso Teatro, firmato da Vincenzo Albano. Marco Cacciola, pellegrino laico ha intrapreso un cammino da Milano a Roma, alla ricerca del silenzio, del sacro, di un argine che riesca a cambiare quella idea di vita quotidiana intesa come consumo veloce, spendita e ricarica, inerti, alla ricerca di una parola, di un sorriso, di uno sguardo che possa redimerlo. Nel suo viaggio incontra Antonio Tarantino, che lo manda in stazione a cercare il sacro negli ultimi, Alda Merini, con il fondo di religiosità animalesca della sua poesia, il padre e il suo bravo, con lo sguardo ormai perso. Nel frattempo, il pubblico segue il racconto anche ironico di Marco Cacciola, nell’ambito di un sottinteso “ateismo”. Siamo nel caffè torinese durante l’incontro con Tarantino, è con lui sulla strada ove deve stare attento allo sfrecciare delle automobili, è con lui, quando cammina ascoltando l’allegro dell’Inverno di Antonio Vivaldi, siamo con lui quando sulla strada ha la nausea. Si la nausea, poiché la “noise”, termine che è alla base del pensiero di Michel Serres, del suo linguaggio, che procede senza limiti, attraverso le molteplicità degli spazi e dei tempi, e che raccoglie all’infinito, tutte le chances per una sua decodificazione, ha la stessa origine di nausea, di nautica. La noise che Marco Cacciola ci ha fatto ascoltare in cuffia è il clamore originario, giace sotto i ritagli di tutti i fenomeni, degli accadimenti, quel rumore di fondo è forse lo sfondo dell’essere. Il rumore di fondo non cessa mai, è illimitato, è continuo, perpetuo, inalterabile. Quanto rumore bisogna fare, allora, per imporre silenzio al rumore? “Farsi Silenzio” risponde Marco. Non è possibile. Lo ha sperimentato John Cage nella camera anecoide, prima di scrivere Silence e il celebre “4,33”, il non-pezzo in tre movimenti, datato 1952, dando inizio ad una nuova concezione della musica, che intende condurre e stringere l’attenzione al di là d’ogni divagazione interferente d’ordine fisico-acustico , sui suoni e rumori liberi che ci avvolgono. Continua il viaggio di Marco con i 55 di Santa Apollonia, con la domanda per voi cosa è il sacro? Torna in mente Pier Paolo Pasolini con i suoi Comizi d’Amore e il progetto del viaggio del Re magio, quel “Porno-Teo-Kolossal” che avrebbe dovuto essere affidato a Ninetto Davoli ed Eduardo de Filippo, poi realizzato nel 1996 da Sergio Citti, con Silvio Orlando, Patrick Bauchau, Laura Betti, e lo stesso Davoli. Come i tre “Magi randagi”, tre saltimbanchi che si pongono in viaggio in cerca del Messia, i quali alla fine credono di intuire la verità: ovvero che in ogni nuova vita che nasce c’è il Messia, con Marco Cacciola, ci siamo posti tutti in cammino: voci diverse tra loro in cui i linguaggi possono articolarsi scontrarsi anche in forme negate al linguaggio verbale. Ognuno ha una possibilità, ognuno può inseguire la propria “voce”. Le voci nate dal silenzio non possono che rinascere nel silenzio, ecco lo spunto per la continuazione di questo profondo e plurilinguista spettacolo, che non può avere una fine, di Marco, per la drammaturgia di Tindaro Granata e quella sonora di Marco Mantovani, il cui punto di riferimento filosofico crediamo possa riconoscersi nel “Parmenide” di Platone, il dialogo della rottura, della parità e della mescolanza e in Bergson, con la sua contrapposizione tra tempo-vissuto, tempo interiore e tempo-spazio. “Un po’ di pace!” fa gridare Eduardo al Zì Nicola de’ “Le voci di dentro”, “Basterebbe far tutti un po’ di silenzio e riusciremmo a sentire le voci”, dice Ivo Bellini nel finale de’ “La voce della Luna” di Federico Fellini, non a caso due “ultimi”, visionari. Dopo aver tentato numerosissime, troppe strade, occorre, ora, far silenzio, in modo che, in esso, la mente possa aprirsi un cammino immune da sensi prefissati e di qui, ogni slargo, ogni liberazione, ogni ri-nascita, potrà divenire possibile.