L’oro di Napoli - Le Cronache
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L’oro di Napoli

L’oro di Napoli

Trionfa “Il maestro di Cappella” di Domenico Cimarosa con protagonista Paolo Bordogna, introdotto dal Vivaldi del concerto in Sol minore e dall’ouverture de’ Lo Frate ‘nnammurato di Pergolesi

 Di Olga Chieffi

 Climax settecentesco per la prima in streaming dal Teatro Verdi di Salerno, che ha inteso puntare con il cartellone de’ “Le Feste al Massimo”, sul Settecento partenopeo, ovvero sull’oro di una Napoli diventata il centro del mondo artistico a tutto tondo. Riflettori , quindi, sui mirabili “strumentini” del teatro Verdi che si fanno sorprendere a provare l’Allegro non molto del Concerto in Sol minore RV 103 di Antonio Vivaldi, in cui il modello solistico e quello d’insieme si combinano, dove al protagonismo del flauto, che è quello di Antonio Senatore, fa riscontro l’ oboe di Domenico Sarcina, sostenuti dal fagotto di Antonello Capone e incorniciati dal cembalo di Maurizio Iaccarino, superbi interpreti dello stile  immaginifico di Vivaldi, per cui la forza evocativa impressa alla musica è risultata così magnetica da allestire un vero e proprio teatro dell’immaginazione, che ci ha avvinto nel vortice di ritmi e invenzioni continue. Entra in scena Antonio Marzullo interpretando se stesso, e ponendo in attenzione l’orchestra, chiedendo il La al clavicembalo per accordare gli strumenti chè, di lì a poco, sarebbe incominciata la prova.  Così è iniziata la stagione “covid” lirico-concertistica del Teatro Verdi di Salerno, con “Il Maestro di Cappella” di Domenico Cimarosa, che ha avuto questo delizioso preludio. In attesa del Maestro, il Konzertmeister stesso, Fabrizio Falasca, dà l’attacco per il finale della sinfonia avanti l’opera de’ “Lo frate ‘nnammorato”, un frammento dalla fascinosa propulsione ritmica. Eccellente il baritono Paolo Bordogna, il quale ha diretto sul podio la prova, mai rinunziando a quei requisiti di grazia e limpidezza, nonché di raffinata espressione che costituiscono i cardini dello stile cimarosiano. E’ operina concisa questa, moderna, che Paolo Bordogna ha inteso iniziare con parole di augurio e resilienza: “Bravi, avete già cominciato a provare: il pubblico non c’è ma quando tornerà, noi saremo pronti, poiché presto il pubblico tornerà a teatro!”. Poi, l’attacco di questo intermezzo, che nasce dal prolungamento dell’opera principale “L’impresario in angustie”. Il maestro di cappella è una vera e propria prova d’orchestra, un universo di suoni, una ricerca e un tentativo di far musica insieme, col suo fascino sonoro e il suo possesso, la sua componente di umanità. Una prova d’orchestra è una proiezione del mondo, il ritratto di una famiglia, piccola o grande che sia, in un interno, con i suoi frammenti, i tipi, gli accessori, i problemi che si intersecano, le diversità. Una prova  d’orchestra è anche una parodia della musica, ed è la parodia della vita a cui partecipiamo, anche la più rischiosa, la quale, come la “prova”, può diventare anche parodia o, indifferentemente, dramma. Alla fine, i musici riescono nell’eseguire l’aria nello stil sublime di quei celebri maestri che sapevano tanto, e il mondo ritorna ad essere singolarmente omogeneo, dall’aggraziata cantabilità, come la morbidezza del tessuto armonico e del rivestimento strumentale, con quel brio indubbio, che Bordogna ha finemente sottolineato, di una comicità appena delineata. Al momento dell’ applauso, che, sicuramente, è esploso nelle case di quanti si siano collegati col Verdi, un “tacet” di cageana memoria, uno schiaffo in volto a tutti noi, che ci ha riportato alla realtà, con una, forse, qualche speranza in più, che si ritornerà in teatro.