Le grandi voci per Le Feste al Massimo - Le Cronache
Spettacolo e Cultura

Le grandi voci per Le Feste al Massimo

Le grandi voci per Le Feste al Massimo

Marcelo Alvarez e Anna Pirozzi prestigiosi ritorni al Teatro Verdi per la rassegna in streaming di fine d’anno. Il tenore e il soprano si esibiranno con la pianista Mzia Bachtouridze protagonisti di un programma improntato alla scuola verista

Di Olga Chieffi

Siamo al giro di boa della rassegna streaming del teatro Verdi, “Le Feste al Massimo”, e stasera, alle ore 20, in palcoscenico ritorneranno due grandi voci che già abbiamo avuto ospiti qui a Salerno, il tenore Marcelo Alvarez, che applaudimmo nel maggio del 2009 in un recital e il soprano Anna Pirozzi, che ricordiamo nel ruolo di Leonora, ne’ “La Forza del destino” di quattro anni fa. Con loro, la pianista Mzia Bachtouridze, con la quale si cimenteranno in un programma improntato alla scuola verista. Sarà Anna Pirozzi a rompere il ghiaccio con il pubblico virtuale, elevando la preghiera dalla Tosca, “Vissi d’arte”, prima di trasformarsi nell’Amelia di “Un Ballo in Maschera” di Giuseppe Verdi, per l’aria “Morrò, ma prima in grazia” dal III atto. Renato minaccia Amelia di morte, la donna implora pietà, con una vocalità carica del pathos materno: ha amato il governatore solo per un istante, le consenta almeno di abbracciare ancora una volta il figlioletto. Ritorno al verismo con l’ Alfredo Catalani, de’ “La Wally”. Pur essendo il suo capolavoro, in Wally il compositore, forse eccessivamente assorbito dalle esigenze di un progetto formale astratto, non sempre seppe avvalersi di un linguaggio unitario ed espressivamente omogeneo. Significativa eccezione è proprio l’aria “Ebben? Ne andrò lontana” , tratta dalla Chanson Groënlandaise, composta da Catalani nel 1878 su versi di Jules Verne, che rappresenta uno dei momenti più alti dell’intera partitura e che in effetti finisce per far cadere eccessivamente l’attenzione sul primo atto a scapito dei successivi, forse meno prodighi di idee e di novità, grazie alla sua avvolgente linea melodica. Si continuerà con l’Andrea Chenier di Umberto Giordano. La Pirozzi si calerà nel personaggio di Maddalena, una parte in cui l’elegia è la carta vincente per la bellezza senza doppi fondi, per grazia desolata della celebre aria del terzo atto, “La Mamma morta” e l’incisività, rara fra i compositori d’area verista. Tutti ricorderanno l’aria che ha inaugurato il 7 dicembre il gala del Teatro alla Scala. Omaggio al Verdi per Francesco Cilea, il quale, per la sua raccolta liricità e le sue sfumature elegiache si avvicina, in qualche modo, alla scuola francese, con “Io son l’umile ancella”. Il soprano  vestirà i panni di Adriana Lecouvreur, per evocare la sua aria caratterizzante, che espone un credo artistico in accordo con i canoni del verismo: l’attrice non si ritiene che uno strumento al servizio del poeta, ed attraverso di lui della verità stessa. Passaggio di testimone al tenore Marcelo Alvarez, il quale come aria di sortita ha scelto “La solita storia del pastore”, nota anche come Lamento di Federico, dal secondo atto dell’opera L’arlesiana di Francesco Cilea. La pagina viene cantata da Federico, che è perdutamente innamorato di una ragazza di Arles, l’Arlesiana del titolo, la quale, all’opposto delle apparenze si è rivelata una donna indegna e già impegnata con Metifio. Solo sul palcoscenico, Federico legge le lettere che l’Arlesiana ha inviato a Metifio, la prova del suo tradimento, col cuore infranto. Alvarez non avrà, poi, che da vestire i panni del Signor tenore per dar poi voce a quel Mario Cavaradossi attaccato alla vita e al piacere con ingenuità poetica. E’ il momento di “Lucevan le stelle”, la celebre confessione del cavaliere pittore, in cui la bellezza e gli amori celebrano un forzato trionfo davanti al plotone di esecuzione. Passaggio in Francia con il Jules Massenet, di El Cid con “O souverain, o juge o père”. Rodrigue innalza una fervente preghiera  a cui risponde l’immagine di Saint Jacques, che annuncia il suo trionfo. E’ questa una pagina incline all’introspezione,  in cui si scruta l’intimo dell’animo umano e la melodia fluisce morbida, delicata, sensuale. In Spagna si resta con il marinaio Leandro, direttamente dalla zarzuela, “La tabernera del puerto” di Pablo Sorozabal. Il giovane lamenta la sua disgrazia, affermando che Marola, la donna da lui amata è buona e non l’ha usato perché è corrisposto. Entra in scena Tosca. L’unica donna ammessa nell’opera, che ne occupa con prepotenza ogni spazio, in ogni momento, sempre da padrona assoluta, amante focosa ed imperiosa che non esita a smaniare in chiesa esibendosi in una violenta scena di gelosia, la stessa creatura che, come una pia fanciulla, s’inginocchia devotamente dinanzi alla Vergine e le offre dei fiori. Qui Anna Pirozzi ritroverà il suo Mario per il duetto del primo atto. Finale estatico con ancora l’Umberto Giordano dell’ Andrea Chenier, con il duetto finale, quel gioco formale volto a inondare di musica l’ascoltatore fino alla sazietà, un congedo meritato per Chénier e Maddalena, che vogliono gustarsi fino in fondo e prolungare all’infinito il loro ultimo momento di felicità terrena, il compimento del duetto è quello dell’intera vicenda amorosa di Andrea e Maddalena,  dato in questo a due conclusivo, a lungo differito e perciò tanto più desiderato.