L’ Oktyabr di Paolo Mieli - Le Cronache
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L’ Oktyabr di Paolo Mieli

L’ Oktyabr di Paolo Mieli

di Olga Chieffi

“Era d’ottobre”, un’inedita narrazione del comunismo attraverso le vicende di dodici figure presenti (o assenti) nel famoso dipinto di Guttuso “I funerali di Togliatti”, una lezione di Paolo Mieli, per la regia di Angelo Generali, inaugurerà stasera, alle ore 21, la sezione teatro civile e contemporaneo del Verdi. Lo spettacolo si ricollega al centenario della rivoluzione russa che è stato celebrato lo scorso anno. Iniziato nel 1967, a cinquant’anni dalla rivoluzione, il quadro di Renato Guttuso fu esposto per la prima volta nell’ottobre del 1972 all’Accademia di Belle Arti di Mosca. Guttuso sceglie di dedicare al funerale di Palmiro Togliatti, morto nel 1964 a Yalta, una imponente tela di quattro metri e quaranta per tre e quaranta. Si tratta di un racconto senza tempo dove convivono tante personalità che hanno fatto grande il movimento comunista, il sindacato, l’intellettualità e il Pci, a significare che le idee superano la morte e che, insieme, si può lottare per una società migliore. Il dipinto, divenuto il manifesto del Pci, racconta un’epoca e, con lirismo poetico, mostra, tutti insieme, i leader e il popolo dalle bandiere rosse, uniti nell’ultimo saluto a Togliatti, l’uomo che fece del Partito comunista un partito di massa, soggetto fondamentale della democrazia repubblicana. Un quadro, questo di Guttuso, nato dalle immagini del giovanissimo fotografo, Mario Carnicelli, figlio d’arte, che con la sua Hasselblad, documentò quella giornata, “inchinandosi alla fotografia”, come insegna il fotografo Armando Cerzosimo, e all’Uom. profondamente corale dove a rendere omaggio alla salma di Togliatti, ci sono donne e uomini, contadini e operai, impiegati ed emigrati italiani, studenti e intellettuali, dirigenti di partito e rappresentanti delle istituzioni. Fra la folla, rigorosamente tracciata in bianco e nero, spiccano i grandi del comunismo internazionale: il volto di Lenin posizionato in quattro punti del quadro, Antonio Gramsci ed Enrico Berlinguer che proprio nel 1972, anno in cui Guttuso realizza l’opera, viene eletto segretario del Pci; si riconoscono Luigi Longo, Giuseppe Di Vittorio, Giorgio Amendola, Giancarlo Pajetta, Pietro Ingrao, Alessandro Natta, Nilde Iotti, Alcide Cervi e molti altri, fra cui Luchino Visconti, Pier Paolo Pasolini, lo stesso artista; troviamo poi due importanti donne comuniste Dolores Ibarruri e Angela Davis, che in epoche e continenti diversi hanno lottato contro il fascismo e la segregazione razziale; si intravede infine anche Giuseppe Stalin e Leonid Breznev. Ci sono Lenin e Stalin, ma non il rivoluzionario Trotsky, né il presidente Krusciov, che denunciò i crimini dello stalinismo, c’è Gramsci, ma non Bordiga, fondatore del Pci; c’è Sartre, ma non Pasternak e Solženicyn, che svelarono le brutture della rivoluzione e gli orrori dei gulag. Mancano anche Fidel Castro, Che Guevara e Dubcek, l’uomo della primavera di Praga. Il capolavoro di Guttuso, dimostra come un intellettuale e grande artista percepisse i primi cinquant’anni anni dell’avventura comunista e come li proiettasse nel futuro. Qualsiasi personalità fosse in tutto o in parte in contrasto con quella che era la visione “ortodossa” dell’Unione Sovietica è stata rimossa dalla scena. Guttuso, che era anche un liberale dirigente del Pci, obbedì all’immaginario del tempo, a quella “velina” che non gli permise schizzare e tramandare il comunismo di Mao Tse-tung, colui che inaugurò con la rivoluzione cinese, l’esperimento comunista più longevo della storia, che ancora riguarda un miliardo e mezzo di persone. Lo spettacolo si mette in evidenza il significato delle assenze e delle presenze nel dipinto, in un racconto che sul palco prende le mosse dal filmato dei funerali di Togliatti e da alcune sequenze tratte dal film del 1928 “Oktyabr” di Sergej Eizenštein, per concludersi con la stagione riformatrice di Michail Gorbaciov e con il crollo del muro di Berlino del 9 novembre del 1989.