In Two sulle tracce di Garwalf - Le Cronache
Spettacolo e Cultura

In Two sulle tracce di Garwalf

In Two sulle tracce di Garwalf

 

Scorso weekend dedicato al teatro con Casa del Contemporaneo e stagione Mutaverso diretta da Vincenzo Albano

 

Di Olga Chieffi

“Lo lupo si è uno animale che have in sé due proprie nature: ché elli si è nominato rappace, cioè rapitore, ché elli vive da preda; e quando elli viene a intrare in alcuno luogo per involare, sì va molto guardingamente, e se elli facesse alcuno sentore, sì si prende li piedi colli denti e sì se li morde fortemente. L’altra natura si è che elli tolle lo vigore all’omo, se ello vede l’omo ‘nansi che l’omo vegga lui; e si l’omo vede ‘nansi lui che ‘l lupo lu vegga, sì tolle l’omo lo vigore al lupo”. La seconda stagione di Mutaverso ha proposto, lo scorso fine settimana “Garwalf” – prodotto da Dynamis Teatro, con Francesco Turbanti, Marta Vitalini, regia Andrea De Magistris e Giovanna Vicari. Ciò che rende l’uomo ed il lupo rispettivamente preda o predatore non dipende solo dalla loro natura, ma dalla capacità di pre-vedere l’agire dell’uno sull’altro. Tale analogia, che vede la bestialità prendere il sopravvento sull’umanità solo quando questa la ignora, è il monito che spinge alla presa di coscienza dell’intima natura che ci compone. Lo spettacolo vede in una piccola tenda, intrappolati in un crepaccio della Majella, sei spettatori presentati con sei identità differenti ricavate dai profili facebook, quindi vere o false, mascherate, di cui ad uno di questi è stato affidato il ruolo del lupo mannaro, che attraverso il fiore bianco della morte, ucciderà ad uno ad uno gli ospiti della tenda, che il pubblico può scrutare attraverso una telecamera, sull’esempio dell’ Isola dei Famosi o del Grande Fratello. Mentre nella tenda gli ospiti, che hanno avuto dettami dalla compagnia circa 24 ore prima dello spettacolo, avrebbero dovuto studiarsi, cercando di intendere, attraverso il gioco sottile dell’indagine, chi fosse mai il lupo assassino, sul quale pendeva anche una taglia in danaro, foraggiata tra l’altro, dagli spettatori stessi, da chi guardarsi, come sfuggire alla morte, fuori gli eccezionali performer hanno evocato i miti degli anni ’80-’90, Lilly Gruber, Vic e Mathieu de’ “Il tempo delle mele”, Poncherello e Baker dei CHiPs, tra molta nebbia e le immagini degli Appennini e di Lady Hawke e della sua duplice trasformazione. Tra gli ospiti della tenda, Andrea Avagliano, Roberto Pappalardo, Lucia Di Mauro, Salvatore Pepe, Sara Monsurrò, Alessandro Gioia, i performer e il pubblico, il gioco promesso della maschera, della rivelazione e dell’indagine, purtroppo, non è mai stato acceso, lasciando la platea del centro sociale Cantarella, attonita e interdetta, dopo aver sbirciato le note di regia che avevano lasciato intuire e sperare in ben altro. Che Garwalf sia forse il Gmork della Storia Infinita (1984)? Il Nulla che attacca il regno di Fantasia? Nell’età della tecnologia trionfante il pericolo supremo sta nel cedere all’indifferenza del sentire, all’insensibilità emozionale e nel non inorridire dinanzi al vuoto dell’assenza di sé, paventando la sparizione del mondo. Se noi riuscissimo ad agire in modo da suscitare la fiducia degli altri, e al tempo stesso ad avere fiducia negli altri, forse potremo risollevarci dalla nostra condizione che sta cedendo al Nulla. L’invito è a rompere il guscio d’isolamento, che non è materiale ma una volontaria reclusione dell’io. Stesso invito consegnato da Two, andato in scena alla Sala Pasolini, di Jim Cartwright nella versione italiana Serena Zampolli, per la regia Massimo Mesciulam, magistralmente interpretato dall’attrice salernitana Angela Ciaburri e da Davide Mancini I due attori danno vita a ben 14 caratteri e personaggi – da un ragazzo parcheggiato fuori dal pub con un pacchetto di patatine, che viene dimenticato da suo padre, ad una donna anziana il cui unico piacere è nell’ammirare il macellaio, un uomo “grasso, come il maiale in gelatina”. Tutta la società passa dinanzi al bancone del pub, raccontandosi teneramente, spesso ironicamente comica nella sua esposizione della fragilità umana, giustificando uno spettacolo che è, in primo luogo, una serie di studi di carattere, sino all’epilogo che risolve definitivamente un rancore irrisolto tra i due protagonisti, dopo sette anni, circa la morte del figlio deceduto in un incidente d’auto, a fianco della madre, che gli è sopravvissuto.