«In quale parte d’Italia si è consentito di costruire sul mare e sul fiume?» - Le Cronache
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«In quale parte d’Italia si è consentito di costruire sul mare e sul fiume?»

«In quale parte d’Italia si è consentito di costruire sul mare e sul fiume?»

Andrea Pellegrino

Ad un tratto la passeggiata aperta al pubblico del Crescent (edificio privato) si interrompe. Al condominio sul mare manca un pezzo, quello che deve realizzare la Sist srl, la società che fa riferimento ad Armando Chechile, subentrata dopo l’abbattimento del Jolly Hotel. Laddove si ferma la passeggiata – recentemente pubblicizzata – passava anche il Fusandola, il torrente vincolato che nel 1954 seminò morte e distruzione. Quel torrente, per far spazio al condominio e a parte della piazza pubblica, è stato deviato tra l’indifferenza di tutti. Almeno fino ad ora. Perché se il 28 settembre s’attende la sentenza sul Crescent per i reati paesaggistici, urbanistici, di falso e di abuso d’ufficio, sullo sfondo restano in piedi le violazioni di carattere ambientali, che riguardano l’usurpazione del demanio marittimo e idrico vincolato le cui costruzioni hanno anche interessato porzioni di mare, spiaggia e il tratto terminale del torrente Fusandola e la relativa foce. «Questo è il processo più importante – incalza l’architetto Vincenzo Strianese, vice presidente del comitato No Crescent, nonché consulente tecnico incaricato dalle associazioni nei procedimenti penali ed amministrativi -vogliamo capire in quale parte d’Italia o del mondo sia stato consentito di costruire su porzioni di mare e fiumi senza tener conto di tutti i vincoli esistenti, sia di natura demaniale che ambientale. In quale parte del mondo si pretenda di costruire sul demanio idrico o su un torrente vincolato». «In attesa che la magistratura inquirente si esprima sulle recenti denunce depositate dagli avvocati delle associazioni nel novembre e dicembre 2016 con tanto di richiesta delle urgenti misure cautelari e documenti (sulla deviazione c’è una indagine in corso, ndr) – prosegue Strianese – vorrei che il primo cittadino l’architetto Enzo Napoli che tra l’altro è anche un tecnico competente chiarisca, come sia possibile che per deviare il torrente Fusandola, il comune abbia rilasciato una autorizzazione “temporanea” della durata di 48 mesi, soggetta quindi a reiterati rinnovi, e nel frattempo si continua ad edificare tanto l’opera privata che quella pubblica sull’originario alveo del torrente, peraltro in palese violazione del vincolo Ministeriale del ’57 che ne ha decretato l’assoluta immodificabilità “dall’origine allo sbocco”. Ci chiarisca inoltre, se ritenga possibile la prosecuzione dell’edificazione su porzioni di demanio idrico e marittimo, mai sdemanializzato, addirittura utilizzate anche come produttive di diritti edificatori poi alienati ai privati costruttori. Non crediamo che un semplice pagamento di un onere concessorio risolva i problemi idrogeologici o sani dei vicoli di natura ambientale. Sarebbe interessante che il primo cittadino ci facesse sapere come mai solo nel comparto edificatorio del Crescent siano stati rilasciati dei permessi di costruire (vecchi e nuovi) senza la necessaria autorizzazione paesaggistica prescritta dall’articolo 146 del D. Lgs 42/2004. Noi non consentiremo certo che queste, come altre macroscopiche violazioni di legge, solo parzialmente oggetto del processo oramai concluso, siano impunite». Ed ancora Strianese ricorda: «Il dissequestro del Crescent, su richiesta di uno dei costruttori, (nell’ambito del procedimento penale il corso, ndr) fu concesso dal collegio giudicante, anche e soprattutto per consentire il drenaggio delle falde idriche che avevano saturato tutto l’area, mediante il riazionamento delle pompe di aspirazione. E’ del tutto evidente quindi che l’alveo deviato non è in grado di raccogliere una goccia d’acqua anche durante le intense piogge. I dossier realizzati dal comitato No Crescent e da Italia Nostra sono già da tempo all’attenzione degli organi inquirenti: «Abbiamo presentato tre denunce querele specifiche ed ora attendiamo solo i doverosi riscontri. Tra l’altro nel corso del dibattimento in corso numerose lacune da noi evidenziate sono state puntualmente riscontrate ed ora devono essere portate all’attenzione di quello che sarà per noi il processo più importante, quello sui reati demaniali ed ambientali. Non possiamo permettere che il territorio e la sua alterazione sia affidata a persone senza scrupoli tra l’ignavia degli organi di tutela, delle istituzioni competenti, dell’accademia e degli ordini professionali. Noi – conclude – ci batteremo contro questo disastro paesaggistico, urbanistico ed ambientale, nella consapevolezza e nel conforto che tali reati non subiscono alcuna prescrizione. Attendiamo risposte rapide e concrete, non possiamo rassegnarci ad ereditare solo macerie».

(5. continua)