Il riso amaro di Raffaele Viviani - Le Cronache
Spettacolo e Cultura teatro

Il riso amaro di Raffaele Viviani

Il riso amaro di Raffaele Viviani

di Olga Chieffi

E’ stata una promessa d’arte la volontà di mettere in scena “L’ultimo scugnizzo” di Raffaele Viviani, da parte di Ugo Piastrella, che ha chiuso aureamente la I edizione della rassegna “Qui fu Napoli…Qui sarà Napoli”, nel suo Teatro Nuovo. Anche se l’azione, si svolge in ambienti chiusi, lo studio dell’Avvocato Razzullo (un convincente Ciro Girardi) la strada è sempre il presupposto e lo sfondo dell’azione; maestra di vita, origine e spirito animatore di un’arte inconfondibilmente popolare. Anche se la vita napoletana è fedelmente riprodotta, con i suoi più sgargianti colori, in Viviani il folclore non è che occasionale ed accessorio; l’essenza è invece genuina arte popolare, perché nasce dall’osservazione poetica di una realtà che interessa al di là dei confini cittadini; ed è, perciò arte nazionale. Quella verità, di cui Viviani coglie l’aspetto comico e drammatico, gli si presenta, oltre che nel suo contenuto passionale, anche in quello sociale e morale. Viviani, coglie nelle caratteristiche dell’anima napoletana l’aspetto morale, che è fondamentalmente la poesia degli affetti familiari. Piastrella, oltre la scenografia studiata nei minimi particolari ha cercato la giusta balance in quest’opera, che nasce da una materia drammatica, quale il marchio del cognome Esposito, l’abbandono, la miseria, l’emarginazione e l’amore che non dimentichiamo Socrate fa nascere da Penìa e Poros – “Amore non è né bello né delicato, come pensano molti, ma a somiglianza della madre è duro, scalzo, peregrino, usa dormir nudo per terra e con la miseria sempre in casa” – praticamente lo scugnizzo, tra l’intrigo comico e l’annientamento finale, con la morte del tanto atteso figlio che avrebbe cambiato la vita di ‘Ntonio Esposito. Ineguagliabili l’intonazione e il canto di Cristina Mazzacaro, che ha centrato quella trasformazione lineare del parlato, in melodia, elevandolo a singolare momento di tipizzazione poetico-musicale del personaggio, scelto per dare l’attacco alla celebrata rumba degli scugnizzi, posta al centro del secondo atto, intermezzata dalle voci dei venditori di napoletani, certamente un’indulgenza al folclore che è uno squarcio solare ed orgiastico, della strada di Napoli. Tutti protagonisti gli attori in scena, a partire da Claudio Collano, nei panni di Antonio Esposito, l’ultimo scugnizzo, Margherita Rago (suocera di ‘Ntoni) Antonella Quaranta (Rosa Razzullo), Antonello Cianciulli (Dante Sarchiaponi), Rodolfo Fornario (Peppe o navigante), e a completare il cast, Rosaria Sellitti, Lucia Ronca, Sonia Di Domenico, Aldo Flauto, Roberto De Angelis, Francesco Ronca, Rosario Volpe, Alice Maggioletti, Giuseppe Bisogno e Daniela Apicella alle percussioni, che hanno schizzato, in un’opera completa e complessa, in cui proletariato, sottoproletariato e mezza borghesia stagliantesi sul piano drammatico, divisi dalle posizioni di classe o uniti dalla comune miseria, evocati dall’eco di una strada che reca gioie e dolori, una Napoli povera e generosa. Applausi per tutti, per gli attori e anche per il pubblico che è ritornare ad affollare in allegria il teatro.