Il Quartetto di Cremona: homage to Beethoven - Le Cronache
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Il Quartetto di Cremona: homage to Beethoven

Il Quartetto di Cremona: homage to Beethoven

Questa sera alle ore 20,30 la formazione proporrà al Ravello Festival il “Serioso” e il “Razumovsky

Di Olga Chieffi

L’ omaggio a Ludwig Van Beethoven inizia per la LXVIII edizione del Festival di Ravello, questa sera sul Belvedere di Villa Rufolo, alle ore 20,30 con il Quartetto di Cremona, composto da Cristiano Gualco e Paolo Andreoli  al violino, Simone Gramaglia alla viola e Giovanni Scaglione  al cello. La prestigiosa formazione proporrà due dei quartetti più significativi dell’opera beethoveniana, il Quartetto in Fa minore op. 95, il “Serioso” e il primo, in Fa Maggiore dell’op.59, il celeberrimo “Razumovsky”.  Se si bada alla sola cronologia, il Quartetto in fa minore op. 95 appartiene di sicuro al periodo centrale della produzione beethoveniana. Fu composto nel 1810, pochi mesi dopo il completamento del Quartetto op. 74 immediatamente precedente. Un tempo maggiore (cinque anni) lo separano dalla terna op. 59 ma è di ben dodici anni la distanza dal quartetto successivo (op. 127) che apre la straordinaria ultima serie. Se si osserva lo stile, la situazione risulta meno definita. Il primo movimento è da iscrivere con sicurezza fra le opere più febbrili, se non proprio “eroiche” di Beethoven. Non ci sono gruppi tematici, ma segmenti appena sbozzati e subito giustapposti, senza passaggi intermedi, ponti, collegamenti. Il nevrotico e dissociato primo motivo si salda direttamente sull’inquieto secondo (esposto dalla viola e subito modificato dalle altre voci). Poi, più che sviluppo, si ha attrito di materiali differenti. Mai prima Beethoven aveva proposto modulazioni tanto dirette e brutali. L’ “Allegro con brio” è uno dei più brevi mai scritti da Beethoven, ma non dà l’impressione di essere una miniatura, e tanto meno un lavoro minore. L’“Allegretto ma non troppo” successivo è un poco più ampio e anche più sereno. Sono indimenticabili l’inciso iniziale del violoncello, tante volte ripetuto, quasi fosse un segno d’interpunzione, gli addensamenti dissonanti, in particolare il tema della viola, subito ripreso in polifonia, come nei quartetti dell’ultima “maniera”. L’“Allegro assai vivace”, che poi è uno “Scherzo”, attacca subito e ha un nerbo che viene dalla ritmica elementare e dalle aspre transizioni armoniche. Un “Larghetto espressivo” di otto battute introduce l’“Allegro agitato” conclusivo. L’appassionata, ma delicatissima, linea melodica trova sulla sua corsa brividi improvvisi e fremiti misteriosi che ne intaccano le certezze positive e il contagioso entusiasmo. Poi, quasi per non essere preso troppo sul serio, Beethoven aggiunge un folgorante “Allegro”, brusco, inaspettato, per fare punto. Ci accorgiamo così che il Quartetto si è sviluppato e concluso in un tempo brevissimo, che lo rende lavoro fra i più concisi, asciutti e antiretorici dell’intera produzione beethoveniana. Sebbene tutti e tre i quartetti dell’op. 59 rappresentino delle pietre miliari del repertorio quartettistico il primo di essi, che concluderà la serata,  è quello che forse desta maggior meraviglia ed ammirazione per la sua monumentalità e la sua complessità musicale. Nel primo tempo Allegro l’esposizione del primo tema avviene in medias res ed è affidata al violoncello. Il fluire sinusoidale della linea melodica viene ripreso dopo otto battute dal primo violino il tutto sorretto da un ostinato disegno di note ribattute da parte degli altri strumenti. Un ponte modulante conduce ad un secondo tema dal carattere dolce e morbido, in linea col lirismo che permea l’intero movimento. Vi è inoltre la presenza di un rigoroso spunto contrappuntistico che si riallaccia ad elementi del primo tema preparando così la strada per la ripresa. Segue un secondo movimento Allegretto vivace e sempre scherzando dove l’ambiguità della struttura che pare rimandarsi a quella di uno Scherzo ma senza un Trio, si pervade di un innocente umorismo ben reso dai rapporti dialettici tra i vari strumenti. Il nucleo dell’opera è sicuramente il terzo movimento Adagio molto e mesto. Qui l’invenzione melodico-armonica beethoveniana raggiunge il suo apice più commovente conducendo lo stato d’animo dell’ascoltatore nelle più alte zone dell’emozione estetica. Le sette misure conclusive di questo monumentale movimento si pervadono di un grande virtuosismo tecnico dato dalla funambolica cadenza del primo violino che conduce all’Allegro finale. Ancora una volta tocca al violoncello esporre il danzante tema di origine russa che, variato con grande magistero inventivo sì combina con ulteriori idee in un fitto discorso musicale il quale, dopo un fugace momento di sospensione, apre le porte alla coda conclusiva.