Il pianoforte di Alexander Yakovlev a Villa Guariglia - Le Cronache
Spettacolo e Cultura

Il pianoforte di Alexander Yakovlev a Villa Guariglia

Il pianoforte di Alexander Yakovlev a Villa Guariglia

Il magistero pianistico russo sarà di nuovo ospite del cartellone della XVII edizione dei Concerti d’ Estate. Alexander Yakovlev vincitore del Premio di esecuzione pianistica “A.Napolitano” – Città di Salerno” 2014, ritorna, questa sera, alle ore 21, per esibirsi in un rècital dedicato al pubblico di Villa Guariglia.

Alexander Yakovlev ha scelto di inaugurare il concerto del vincitore con una pagina di Wolfgang Amadeus Mozart. Il 23 settembre del 1777 il genio di Salisburgo partì per Parigi con la madre. Il viaggio toccò Monaco, Augsburg, Mannheim ed infine Parigi. A Mannheim Mozart frequentò Christian Cannabich, direttore dell’orchestra di corte ed esponente della seconda generazione di Mannheimer; per la quindicenne figlia di Cannabich, Rosa, Mozart scrisse la sonata in Do Maggiore Kv 309, che fu pubblicata l’anno successivo a Parigi. Il primo movimento comincia con un motto iniziale all’unisono. Nella transizione al secondo tema Mozart inserì una caratteristica musicale locale in omaggio alla città di Mannheim che lo ospitava: sono quegli staccati ascendenti meglio conosciuti come “Mannheim racket”. Nel secondo movimento sembra che Mozart abbia voluto raffigurare musicalmente il carattere di Roza Cannabich, cui era dedicata la sonata, e per sua stessa ammissione pare ci fosse riuscito esattamente (lettera del 6 dicembre 1777). Sembra che Mozart fosse molto soddisfatto dell’esecuzione che la dedicataria realizzò di questa sonata, in particolare dell’ultimo movimento che si adeguava perfettamente alle sue capacità tastieristiche. Seguiranno gli Studi sinfonici, op.13 di Robert Schumann. Siamo talmente avvezzi al titolo di Schumann che non facciamo più caso al paradosso in esso contenuto. In verità vi fece caso Schumann stesso quando, nel 1852, ripubblicò la sua op. 13, ritoccata, con il titolo Studi in forma di variazioni. E Studi sinfonici non era stato del resto il primo titolo: il primo fu Variazioni patetiche, il secondo Fantasie e finale, il terzo Studi di carattere orchestrale. Schumann, nel 1837, optò per Studi sinfonici, versione abbreviata di Studi di carattere orchestrale, perché l’ampliamento delle possibilità coloristiche, provocato dall’adozione generalizzata delle barre e placche metalliche di tensione e della copertura del martelletto in feltro (invece che in pelle), portava il pianoforte a rivaleggiare con l’orchestra. Negli Studi sinfonici Schumann adottò in larga misura disposizioni dell’evento sonoro tipiche dell’orchestra, e poi dell’organo (Studio n. 8), ed infine… del pianoforte (Studio n. 11): il nuovo pianoforte, in altre parole, poteva fare ciò che faceva l’orchestra, ma poteva anche andar oltre l’orchestra, scoprendo un nuovo territorio di sovrapposizioni di sonorità limpide e di macchie sonore indistinte, tanto che lo Studio n. 11 viene visto da qualcuno come lontana premonizione di Ondine di Ravel. Per ottenere ciò diventava essenziale la tonalità, cioè l’uso di tutti i tasti neri con una particolare posizione della mano che favorisce il controllo capillare della discesa del tasto. Schumann, non-pianista, si affiancava così ai pianisti Chopin e Liszt, che in quegli anni stavano sviluppando una tecnica del suono pianistico innovativa, anzi, rivoluzionaria. La dolorosa e statica bellezza del semplice tema comincia ad animarsi già nella Prima Variazione (Un poco più vivo), mentre già dalla Seconda Variazione, al di sotto di un canto intenso e appassionato, la scrittura pianistica si fa sempre più densa e complessa per alleggerirsi poi all’improvviso nel luminoso virtuosismo del Terzo Studio; la figura discendente del tema viene ripresa a canone nei secchi accordi della Terza Variazione che sfocia direttamente nella Quarta (Scherzando), anch’essa costruita su accordi che introducono però un’atmosfera più leggera, contraddetta ancora una volta dall’esplosione virtuosistica della Quinta Variazione (Agitato). Questa alternanza, talvolta perfino violenta, di atmosfere diverse continua anche nelle Variazioni seguenti, con lo slancio virtuosistico e appassionato della Sesta Variazione, del Nono Studio e dell’Ottava Variazione e le parentesi intensissime della Settima e, soprattutto della Nona Variazione, vertice sommo di intensità espressiva, raffinatezza di scrittura, ricerca timbrica. Spentasi in lontananza l’eco di quest’ultima, straordinaria Variazione, esplode con un contrasto tanto più amplificato il Finale (Allegro brillante), un ampio e sonoro rondò di quasi duecento battute che utilizza materiale tematico tratto dall’opera Der Tempier und die ]üdin di Heinrich August Marschner (1795-1861) e in particolare della romanza “Du stolzes England, Freuedich” ; si tratta di un ulteriore omaggio di Schumann al suo amico inglese dedicatario dell’opera, il compositore William Sterndale Bennett. Finale di serata affidato al titolo con cui Alexander è stato incoronato vincitore sul prestigioso palcoscenico del teatro Verdi di Salerno: “Quadri di un’esposizione” di Modest Musorgskij.Il compositore russo scrisse il suo capolavoro nel 1874, ispirandosi ai quadri ed acquerelli del pittore ed architetto Victor Alexandrovich Hartmann, cui era legato da profonda amicizia. Entrambi appartenevano al “Gruppo dei Cinque” e aspiravano ad un’arte legata alle radici culturali della loro terra, al suo folklore ed alle sue tradizioni, rifiutando influenze straniere. Durante la visita alla mostra, dedicata appunto ad Hartmann, un anno dopo la sua scomparsa, Musorgskij rimase affascinato dalle opere ed in tre settimane, tra giugno e luglio, scrisse l’opera, che verrà pubblicata postuma solo sei anni dopo la morte del compositore.
L’opera è composta da sedici brani, dieci ispirati ai quadri e cinque Promenades, che rappresentano il movimento dell’osservatore da una tela all’altra ed uno ad uno.
Le Promenades, chiaramente riconoscibili, presentano tutte lo stesso tema con variazioni più o meno marcate, quasi a far risaltare l’emozione del visitatore per il quadro appena visto e l’attesa per quello successivo, e fungono da elemento di coesione dell’opera basata su forti contrasti tra i vari soggetti.

Olga Chieffi