I magistrati in pensione lontani dalla politica - Le Cronache
Editoriale

I magistrati in pensione lontani dalla politica

I magistrati in pensione lontani dalla politica

di Michelangelo Russo

Quando un medico va in pensione, rimane un medico. E cosi’ un ingegnere. O un docente universitario, che continua a pubblicare. L’avvocato non va mai, realmente, in pensione. Dal primo giorno di pensione, il giudice invece non è più nulla. Non si trasforma automaticamente in avvocato, e non pronunzia sentenze private. Ma l’anonimato del giorno dopo rientra nelle aspettative del magistrato; fa parte del gioco. L’antica tradizione della magistratura, la buona educazione dei giudici, se vogliamo, impone la transizione dallo status di detentori di un potere a quello di privati cittadini senza cessioni alle lusinghe di coinvolgimenti nella gestione diretta della cosa pubblica sotto altre forme e vesti. Piero Calamandrei esecrava l’ineleganza della scelta di quegli ex magistrati che riapparivano sul proscenio dei pubblici poteri al termine della carriera, criticando finanche, con garbata ironia, quelli che tornavano nei tribunali indossando la toga del difensore di parte nelle aule stesse che li avevano visti sedere sullo scranno di Presidenti del Collegio. Insomma, “noblesse oblige”! Il costume lo impone la tradizione, a quella non si sfugge, anche quando sembra appannarsi col tempo. Persino in Parlamento sono tornati tutti con la cravatta dopo la moda passeggera dei colletti sbottonati. Le usanze sono dure a morire, perché hanno una ragione e uno scopo. Irriderle con noncuranza, tralasciandone l’applicazione senza motivi di giustificata priorità, sfocia irrimediabilmente, come diceva Calamandrei, nell’ineleganza; cioè, per dirla con un’espressione più plebea, ma equivalente, nella “pacchianeria”! Ne concludiamo, quindi, che il magistrato in pensione, soprattutto quando ha esercitato una funzione direttiva, che subito dopo il pensionamento accetta un incarico di gestione diretta del potere politico (e non una carica meramente onorifica o connessa alla cultura), compie, sotto il profilo del rispetto della tradizione, un gesto di cafoneria deontologica, di quelli che fanno storcere la bocca agli ex-colleghi quando poi, nella loro nuova veste di gestori di un potere amministrativo, si azzardano ad apparire nei convegni dei magistrati. Purtroppo, il rischio di fare la figura del cafone (sempre sotto il profilo deontologico, s’intende, e sempre traducendo in termini popolari il concetto di “ineleganza” usato da Clamandrei) non pare essere in alcuni casi un deterrente efficace per resistere alle tentazioni e alle lusinghe del potere politico. Quest’ultimo utilizza sirene ammalianti capaci di intrappolare i magistrati nel loro momento di massima debolezza, che è quella del fresco pensionamento; quando cioè è ancora forte nel pubblico l’immagine del loro ruolo e del loro nome. Va detto che la sirena più efficace non è quella del denaro: intorno ai settant’anni il denaro ha un’attrazione relativa. La sirena più potente è quella che fa leva sulla vanità dell’ex potente magistrato. La nuova carica pubblica per il giudice neopensionato è come un elisir di eterna giovinezza, un’illusione di immortalità che prolunga la vita delle pubbliche comparsate ancora per qualche tempo, prima dell’oblio dei fasti di potere goduti. Gli incarichi offerti dopo la pensione sono quindi un dono del diavolo che il Potere fa ai magistrati smarriti dal terrore dell’oblio. Ma è meglio soffrire decorosamente l’oblio inevitabile che vendere l’anima al diavolo sapendo di perderla per sempre. Perché ogni magistrato sa che l’acquisto della sua persona può servire al Potere tentatore per legittimarsi con l’esibizione di un simbolo di giustizia.  E il dubbio di una tale strumentalizzazione è ancora più forte, tra la gente, quando il magistrato chiamato ha già esercitato un potere giudiziario apicale sullo stesso territorio amministrato dal Potere chiamante. In molti possono chiedersi, infatti, se quella chiamata è il frutto di qualcosa che il magistrato nello stesso territorio ha fatto, in passato. O se, ancor peggio, non ha fatto. E’ per evitare questi dubbi e per preservare l’immagine imparziale del giudice che la tradizione antica dei magistrati consiglia (ma in realtà impone) per loro la scomparsa silenziosa dal primo giorno di pensione.