I funerali di Mario Pantaleone: scene di diversa Umanità - Le Cronache
Primo piano

I funerali di Mario Pantaleone: scene di diversa Umanità

I funerali di Mario Pantaleone: scene di diversa Umanità

L’intera città si è stretta intorno ad una delle figure più carismatiche della Salerno storica, le diverse anime delle arti, del teatro, della politica, del commercio, dell’arte culinaria, in un duomo gremito

Di OLGA CHIEFFI

 Ieri mattina uscendo di casa per andare a salutare Mario Pantaleone, abbiamo pensato a quale strada percorrere per giungere in Duomo, eludendo la porta serrata e le vetrine di Pantaleone. Abbiamo girato per via Antonio Genovesi, imboccando via Roberto il Guiscardo, sperando in un’entrata laterale, magari la cripta, per evitare le due ali di folla che attendevano il feretro di Mario. Non è stato possibile. In un’atmosfera scorata, acuita dalla pioggia sottile e gelida, abbiamo guadagnato l’atrio del Duomo, ascendendo lo scalone che accoglieva i numerosi cuscini di fiori, simbolo della profonda stima nei confronti di Don Mario. Nella relazione dei funerali di un personaggio amato e famoso, bisognerebbe citare i maggiorenti, le autorità, e in chiesa erano assisi, il Sindaco Enzo Napoli, compagno di partito di Mario, il quale non ha mai tradito il credo socialista, Alfonso Andria, Tino Iannuzzi, Francesco Picarone, Antonio Bottiglieri, diversi consiglieri comunali, i rappresentanti dei molteplici mondi e luoghi della città, Ferdinando Cappuccio dell’Enoteca Provinciale di Salerno, il mondo del teatro, con Antonio Marzullo, Rachele Memmolo, il maitre de Ballet, Francesco Boccia, le farmaciste Grimaldi, i colleghi commercianti, i Natella, e con questi, tanti visi antichi della vecchia Salerno, pescatori, artigiani, bottegai, che hanno inteso portare la propria testimonianza d’affetto ai Pantaleone. Ma i Pantaleone hanno una famiglia “grande”, composta di una ventina di nuclei familiari,  e tra i banchi abbiamo riconosciuto tutti i lavoranti del laboratorio, che contribuiscono a quella magia, che va oltre il dolce. Nel gelo del duomo, la semplicità di Don Michele Pecoraro, ha cercato di sciogliere l’enigma di una morte, che è venuta, fulminante, in un periodo “solare”, l’attesa della Nascita, attraverso la figura di Giobbe, la sua fede incrollabile, che resistette alle tentazioni del Maligno, le sue parole, nonostante l’atroce sofferenza a cui egli fu esposto: “Nudo uscii dal seno di mia madre, e nudo vi ritornerò. Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore!”, che hanno portato il parroco di San Matteo a citare il nostro evangelista, il quale invita alla immediata conversione, poichè “Il Figlio dell’uomo viene nell’ora che nessuno immagina. Non chiede permesso, non avvisa, non dona alcun tempo perché possiamo sistemare né le cose della terra né tantomeno quelle dell’eternità”, concludendo con la citazione dell’intenso monologo di Oriana Fallaci, “Lettera ad un bambino mai nato”, per sottolineare che la data di morte di Mario corrisponde alla sua vera Nascita, e alla ricongiunzione coi suoi cari genitori. Il saluto ai familiari, l’inconsolabile vedova Antonietta Autorino, i germani Francesco e Giulia, i figli di Luigi scomparso nello stesso modo, la morte dei “giusti”, trentatrè anni fa, Alfonso e Lucio. Fuori della chiesa, gli amici di sempre, tra cui Raimondo Piombino, il rimpianto di aver perso il brillante ed ironico eloquio di Mario o la canzonatura su qualche particolare ricetta. Bisogna prender coraggio e continuare sulle tracce di Mario Pantaleone, oggi più di prima, la cui eredità è quella di agire in modo da suscitare la fiducia delle persone, e, al tempo stesso, ad avere fiducia negli altri, rompendo il guscio d’isolamento, egoista, che fa giungere alla reclusione dell’ io. Guai a chiedere il “numero” d’attesa nella Dolceria di Mario: alla “passione” dell’arte, dalla musica, alla letteratura, sino alla dolciaria, non appartiene la cecità di lasciarsi prendere da un’urgenza, ma patire, cioè vivere profondamente e dare spessore alla storia, ponendo un freno al delirante correre, in modo da fermarsi a riflettere su noi stessi, poichè l’uomo è libero e vive in quanto trascende, con il proprio pensiero, la stessa vita immediatamente vissuta, quando pensa la Vita.