Ho male a un braccio: arrivano i Gomalan Brass - Le Cronache
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Ho male a un braccio: arrivano i Gomalan Brass

Ho male a un braccio: arrivano i Gomalan Brass

Domani sera, alle ore 20, lo spettacolare quintetto, sbarca al teatro Verdi di Salerno, capitanato dalla supertromba di Marco Pierobon

 

Di Olga Chieffi

E’ un ensemble che da ventidue anni, va ripetendo “Ho male a un braccio”: sono i Gomalan brass, una formazione composta da cinque raffinati musicisti che grazie all’avvincente sinergia tra abilità esecutiva e coinvolgimento teatrale da ventidue anni conquista pubblico e critica di tutto il mondo. Domani sera i riflettori del Teatro Verdi alle ore 20, faranno ancor di più rilucere i loro strumenti, che vanno a destreggiarsi con disinvoltura all’interno di un repertorio vastissimo, che spazia dal rinascimento al melodramma, alla musica contemporanea, senza disdegnare incursioni nel repertorio della musica per film. Lo spettacolo proposto e continuamente rinnovato, distingue per la riconosciuta qualità musicale e per la particolare verve istrionica dei componenti del quintetto, che sono Marco Pierobon e Francesco Gibellini alla tromba, Nilo Caracristi al corno, Gianluca Scipioni al trombone e Stefano Ammannati alla tuba. Fregiato a soli due anni dalla sua formazione dal primo premio al concorso internazionale per gruppi d’ottoni “Città di Passau”, dove lasciarono l’argento ai celebrati Canadian Brass, il Gomalan Brass Quintet ha conquistato il favore di tutti i critici che sono passati dal definirli “fiati effervescenti” di “divertimento e virtuosismo con impeccabile controllo e grande sensibilità” mentre Zubin Metha ama descriverli come “un grande gruppo: virtuosismo e musicalità fuori dal comune”. A Salerno, proporranno il loro “Made in Italy”, in una città che ha sempre vissuto della grandissima tradizione della scuola di fiati, che fu quella dell’Istituto Umberto I. S’inizierà con la sinfonia del Nabucco, una pagina alla tedesca, che enuclea i temi dell’opera che il compositore ha ritenuto più efficaci nel tessuto del racconto: la maledizione a Ismaele, la melodia del “Va’ pensiero”, il finale del primo atto e una citazione scopertamente donizettiana. I Gomalan lanceranno, poi, il “vincerò”, del “Nessun dorma”, cimentandosi tra gli ardimenti vocali del principe Calaf e la partitura grondante di suoni, splendente di impasti ferrigni e luci adamantine che è quella della Turandot di Giacomo Puccini. Non poteva certo mancare un “Moment for Morricone”, un medley di  quelle colonne sonore che tutti conosciamo, fischiamo, canticchiamo e che vengono eseguite da qualsivoglia formazione, ragazzini, bande, orchestre giovanili, concerti da camera, grandi arene, in cui c’è l’uso elegante di tecniche modernissime, come il serialismo e la musica concreta, combinate con elementi di popular music, influssi folk, canti celtici, canto gregoriano, trombe mariachi e un complesso di esecutori della taglia di un’orchestra sinfonica. Le trombe son quelle dell’Aida, con la marcia trionfale, partitura verdiana ancora proiettata verso la sensibilità di chi dall’opera in musica si attende fervore melodico, grandi numeri d’insieme e, perché no, pezzi chiusi di quelli che muovevano all’entusiasmo le vecchie popolazioni teatrali. Ed ecco Nino Rota, uno dei massimi rappresentanti e tra i più amati compositori per musica da film, “L’amico magico” dal delicato fluire musicale, talvolta ingiustamente scambiato per semplicismo, lontano da ogni vezzo avanguardistico, ma nemmeno inconsapevole della lezione novecentesca di Igor Stravinskij, Erik Satie e Kurt Weill. Nino Rota trasferì queste stesse ragioni estetiche nel cinema componendo tante colonne sonore tra cui Il Padrino, i Clowns, Romeo e Giulietta, che ascolteremo stasera, dai risultati mai corrivi, bensì, al contrario, sospesi in un’aerea grazia, che divenne l’ inconfondibile cifra rotiana. Tutta la malinconica bellezza della canzone d’autore italiana con “Mi sono innamorato di te” di Luigi Tenco, prima di evocare il Buster Keaton Blues di Mauro Ottolini, un collega trombonista tra i più eclettici del panorama jazzistico contemporaneo, ispirato da “Seven Chances”, considerata la pellicola più radicale ed iperbolica realizzata da Buster Keaton, essendo costruita in cui crescendo vorticoso di situazioni comiche e drammatiche, che lui ha musicato live. Un omaggio a Buscaglione e Bongusto con “Ciao Fred”, tra l’ironia di “Che bambola” e le mollezze di “Spaghetti a Detroit”, prima di chiudere il programma ufficiale, danzando un tango del trombettista David Short. “Non c’è possibilità di errore nel tango, non è come la vita: è più semplice. Per questo il tango è così bello: commetti uno sbaglio ma non è irreparabile, seguiti a ballare”.