Giovanni Romeo: un dottor della mia sorte - Le Cronache
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Giovanni Romeo: un dottor della mia sorte

Giovanni Romeo: un dottor della mia sorte

L’anziano e noioso tutore di Rosina del Barbiere rossiniano che andrà in scena il 7 dicembre sarà il giovane basso-bariton milanese, formatosi all’accademia della Scala

Di LUCA GAETA

 “A un dottor della mia sorte queste scuse, signorina! Vi consiglio, mia carina,un po’ meglio a imposturar”. Sarà Giovanni Romeo, trentenne basso-bariton milanese, formatosi all’Accademia del teatro La Scala a interpretare l’anziano e noioso tutore di Rosina, nel Barbiere rossiniano che andrà in scena il 7 dicembre.

Come si è avvicinato al mondo della musica e del canto?

“Ho mostrato interesse per la musica già da piccolissimo. Questo grazie soprattutto a mio padre, che pur non essendo un professionista del settore, ha sempre ascoltato l’Opera Lirica. All’età di quattordici anni ho iniziato a studiare in modo tecnico la musica ed il canto, iscrivendomi presso un’Accademia privata, con il soprano Cristina Dominguez, con la quale studio ancora tutt’oggi”.

Ha avuto al grande fortuna di conoscere e studiare con Enzo Dara, ma oltre al grande maestro mantovano, quali solo state le altre figure che hanno segnato la sua formazione?

“Enzo Dara è stata senza dubbio una fra le figure più importanti per la mia crescita artistica. Proprio lui mi ha indirizzato verso il repertorio da basso buffo, notando in me caratteristiche sia vocali che sceniche adatte a questo tipo di repertorio. Fino ad allora, avevo studiato in tessitura più o meno baritonale, cantando spesso Mozart e più sporadicamente repertorio romantico, Donizetti o i Puritani di Bellini. Conobbi Dara nel 2009 in occasione di una masterclasspromossa dal Conservatorio di Milano. Mi ascoltò in Malatesta e in qualche brano mozartiano e mi invitò ad Aulla, dove avrebbe tenuto una nuova masterclass. Per quell’occasione mi pregò di iniziare a guardare qualche aria rossiniana: per me era un repertorio completamente sconosciuto! Il primo brano su cui lavorammo fu l’aria di Pacuvio dalla Pietra del paragone, Ombretta sdegnosa del Mississippi.Da quel momento in poi l’ho portata in tutti i concorsi ai quali ho partecipato e che ho vinto. Quindi, il baritono Alessandro Corbelli, che ho conosciuto durante una masterclass, anche lui vicino a questo tipo di repertorio, il quale mi diede importanti consigli sul fiato e sulle colorature”.

Che cosa ha rappresentato, in sintesi, per lei Enzo Dara?

“Dara è stato per me un padre artistico. Con sua moglie Ivana non avevano figli naturali e verso i suoi allevi aveva sviluppato una premura ed un’attenzione paterna, che andava ben oltre il “semplice” rapporto docente / allievo. Alla sua figura è legato anche il mio debutto, avvenuto nel 2010 a Mantova, presso il Teatro Bibiena, con l’opera La Serva Padrona di Paisiello, di cui lui firmava la regia.

Il lascito che ho ricevuto da Dara, è il profondo rispetto verso tutti i colleghi. L’artista esiste perché esiste l’uomo: è questa la grande lezione umana che Enzo Dara ha trasmesso ai suoi colleghi e che ha lasciato al mondo della lirica”. La prima volta che ha interpretato Don Bartolo ne Il barbiere di Siviglia di Rossini, quali sono state le sensazioni che ha provato e soprattutto come ha caratterizzato in modo personale questo personaggio?

“Ho debuttato Don Bartolo quattro anni fa, grazie all’AsLiCo, nel circuito lirico lombardo. Ad oggi è il ruolo che ho cantato di più in assoluto. Sin da subito, dalle prime prove con il pianoforte, mi resi conto dell’enorme difficoltà legata a questo ruolo, sicuramente all’impervia aria A un dottor della mia sorte, considerata la più difficile per il basso buffo, ma in generale alla complessa caratterizzazione che abbisogna questo tipo personaggio. Spero in questi anni di aver dato vita ad un personaggio originale senza aver perso di vista la tradizione. È impossibile lavorare sul Barbiere senza prendere spunti dall’immensa arte di Enzo Dara, di quello che giocoforza viene ricordato come il “Signor Bartolo”. Certo, sicuramente ci sono stati tanti altri “Bartoli” italiani, d’altronde i migliori buffi della storia sono sempre stati italiani: ad esempio, Bruno Praticò o Alfonso Antoniozzi, che ha dato una chiave più cinica del personaggio, il ché non mi dispiace. Ma io sono allievo di Enzo Dara e penso di aver infilato in questo personaggio qualcosa di tutto quello che mi ha insegnato”.

Sin dai primi anni di studio, ha sempre desiderato interpretare ruoli rossiniano di questo tipo, oppure avrebbe preferito altri tipi di repertori?

“Quando cominciai ad ascoltare le registrazioni dei grandi baritoni, come Piero Capuccilli, ad esempio, o altri che avevano più o meno il suo stesso repertorio, sognavo per me un futuro da baritono verdiano. In cuor mio però le mie attenzioni continuavano ad essere rivolte a Mozart ed in particolare alla trilogia dapontiana. Rossini è arrivato dopo, ma il connubio con questo autore, è stato sin da subito folgorante”.

Il grande scoglio da superare per chi si cimenta in questo repertorio da basso buffo è senza dubbio il sillabato. Se dovesse dare un consiglio ad un giovane per risolvere quest’aspetto tecnico cosa gli direbbe?

“Il miglior modo per studiare un sillabato, sia esso monofonico o melodico, come quello di Bartolo, è il lavoro da principio lento e minuzioso sul legato; solo dopo che questa fase è conclusa è possibile cominciare a velocizzare e comprendere dove posizionare gli accenti. Spesso e volentieri Rossini è talmente bravo che riesce a far coincidere l’accento musicale con l’accento della parola: questo, ad esempio, facilita tanto il sillabato di Bartolo Signorina un’altra volta quando Bartolo andrà fuoriche, se non fosse scritto così, sarebbe praticamente impossibile”.

Il Barbiere di Siviglia che ha cantato alla Scala nel 2015, riproponeva uno storico allestimento di Jean Pierre Ponnelle, considerato da alcuni “passato”. Cosa ne pensa lei di questo giudizio?

“È una questione di punti di vista: che uno spettacolo come quello di Ponnelle abbia oggettivamente un’età anagrafica, non significa necessariamente che sia un prodotto vecchio. La regia di Ponnelle ha un rispetto assoluto per la musica e per il libretto, un rispetto che ha portato lo spettacolo a divenire un omaggio alla genialità rossiniana. Davanti a questi capolavori, che dopo mezzo secolo funzionano ancora perfettamente, chiunque dovrebbe solo fare un atto di umiltà e riconoscerne la grandezza”.

Quali saranno i suoi prossimi impegni?

“In aprile canterò nuovamente Il Barbiere di Siviglia di Rossini al Teatro Bol’šoj e poi un importante debutto, il Don Pasquale di Donizetti, al Carlo Felice di Genova nel mese di febbraio”.