Elena Bellantoni il segno di “Dunque siamo” - Le Cronache
Spettacolo e Cultura

Elena Bellantoni il segno di “Dunque siamo”

Elena Bellantoni  il segno di “Dunque siamo”

Definisce il suo un “lavoro di stratificazione, di immersione, di abisso”. E in effetti immergersi in un contesto per ridefinirlo alla luce di prospettive sempre nuove è un aspetto rilevante di “Dunque siamo”, l’esposizione di Elena Bellantoni visitabile fino al 6 settembre presso il Museo Archeologico Provinciale di Salerno. Si tratta della terza tappa di “Tempo Imperfetto”, il progetto della Fondazione Menna a cura di Antonello Tolve e Stefania Zuliani in cui passato e presente costituiscono categorie puramente orientative della prassi artistica, votata per intima esigenza a un’ambiguità che non tollera l’esaurirsi del proprio discorso in una visione che pretenda di essere univoca. “Nomade e apolide”, come  lei stessa si presenta, la Bellantoni analizza il modo in cui l’individualità si misuri con il molteplice che è sollecitazione, ridefinizione, mappa del possibile. L’esortazione a un pensiero plurale che sia somma di energie senza appiattirle si concretizza nel neon, all’ingresso del Museo per fare da apripista, “Mi rivolto dunque siamo”, che prende le mosse da una frase di Camus (“Che cos’è un uomo in rivolta? È innanzitutto un uomo che dice no. Ma se rifiuta, non rinuncia: è anche un uomo che dice si”). “Il solitario solidale”, due specchi posti uno di fronte all’altro, allude a una riflessione che vuole protrarre se stessa, ma cerca nell’alterità un confronto che sappia resistere al tempo. Una solidarietà che riscrive di continuo le proprie regole si ha nel video “I giocatori”, dove l’artista e Angelo Trimarco, Presidente della Fondazione, giocano a carte l’una di fronte all’altro sullo sfondo dell’area archeologica di Fratte (è remota solo l’epoca che abbiamo deciso di dimenticare). Si dedicano entrambi a un solitario e quando lei si allontana, lui resta seduto, come se sapesse che questa curiosa partita non possa fare a meno di perpetuarsi. Anche quando le loro percezioni sembrano inconciliabili, artisti e critici sanno di dover misurarsi con ciò che solo a prima vista li divide. Ne “La città sale”, su un mucchio di sale sono proiettate diapositive in cui la Bellantoni raccoglie l’acqua marina, smascherando cosi il processo dell’installazione. E se chi fa arte desidera, per così dire, sentirsi il sale della terra, questo elemento che acccomuna l’acqua e la terra, sublimandone la vitalità, racchiude in sé lo spirito di un luogo da esplorare e far emergere, cosi che la coscienza possa viaggiare lungo coordinate inattese.

Gemma Criscuoli