E' l'ora di Juraj Valcuha - Le Cronache
Spettacolo e Cultura Musica

E’ l’ora di Juraj Valcuha

E’ l’ora di Juraj Valcuha

Sarà il direttore slovacco alla testa dell’Orchestra del Teatro San Carlo ad inaugurare con Martucci e Wagner, la LXVII edizione del Ravello Festival

Di OLGA CHIEFFI

Sarà il Notturno op.70 n°1 di Giuseppe Martucci, il più tedesco dei nostri compositori, il cui ambito è quello della piccola forma , prediletta dal compositore, l´ultimo dei quattro piccoli pezzi per orchestra, di tono soffuso e struggente, malinconico e crepuscolare ad inaugurare stasera, alle ore 20, la LXVII edizione del Ravello Festival dedicata interamente al sound delle orchestre italiane. Dopo la rassegna fuori cartellone la Meglio gioventù curata da Antonio Marzullo, Paolo Pinamonti ha voluto sul podio la bacchetta slovacca di Juraj Valčuha, direttore musicale dell’Orchestra del Teatro di San Carlo che, dopo l’esecuzione della intensa pagina del compositore di riproporrà la sua lettura del I atto de Die Walküre di Richard Wagner, già applaudita in maggio dalla platea del massimo partenopeo. Ritroveremo, quindi il tenore americano Robert Dean Smith nel ruolo di Siegmund, del soprano finlandese Camilla Nylund (Sieglinde) e del basso Rúni Brattaberg, l’ Hunding nel secondo cast. Niente di più attuale del Wagner del prologo dell’Ring, che propugna il ripudio e la ribellione dell’umanità alla servitù dell’oro. Come dire, un piú alto livello morale, ed un piú eletto grado di civiltà. La nausea del mondo come lo vedeva, Wagner l’aveva manifestata, insieme col desiderio d’amore, al tempo di Tannhäuser: «La mia vera natura, scriveva, che si ribellava nauseata davanti al mondo moderno e si volgeva tutta ad un mondo piú nobile, abbracciava in una stretta appassionata le forme più estreme del mio essere che sboccavano in una sola direzione: un altissimo desiderio d’amore». Amore propriamente detto, l’amore sensuale, e la conseguente soggezione all’oggetto di tale sentimento, e all’eterno femminino, mèta suprema dello spirito vitale di conquista e di possesso dell’uomo: «La piú alta soddisfazione, scrive Wagner a Roeckel, la più alta espressione dell’individuo è l’assorbimento completo, che è possibile solo nell’amore. Ora, l’essere completo è uomo e donna: non può quindi esistere se non quando uomo e donna si uniscano in un essere solo; ed è solo con l’amore che uomo e donna raggiungono la plenitudine completa. Ma di solito, quando parliamo di un essere umano, siamo cosi asini che involontariamente pensiamo solo all’uomo. Invece è solo nell’unione di un uomo e di una donna, nell’amore (sensuale e soprasensuale) che si ha un essere umano; e siccome l’essere umano non può assurgere alla concezione di una cosa piú alta della sua propria essenza, l’atto supremo della sua vita è questa realizzazione della sua umanità per mezzo dell’amore». Siegmund, il Velsungo (figlio di Wälse, che altri non è che Wotan), sfuggendo ai suoi nemici, disarmato, in una notte di tempesta, trova rifugio in una capanna dove trova Sieglinde, la donna del selvaggio Hunding, che lo conforta e gli chiede delle sue sventure. Sopraggiunge Hunding e dai racconti di Siegmund si rende conto che si tratta del Velsungo, in fatale contesa con la sua stirpe e dall’infruttuosa caccia al quale Hunding e il suo clan sono appena tornati; lo sfida pertanto a duello per il giorno dopo. Sieglinde ha dato al marito una bevanda soporifera e adesso raggiunge Siegmund. Sboccia l’amore fra i due che si riconoscono come fratelli, Velsunghi, ambedue figli di Wälse, che era anche il misterioso viandante che il giorno delle nozze obbligate di Sieglinde infisse una spada nel frassino intorno a cui è costruita la capanna di Hunding: è l’arma invincibile che il padre mi aveva promesso nel supremo momento del pericolo, esulta Siegmund impossessandosi dell’arma a cui dà il nome di Notung. A dispetto di tutte le epiche “cavalcate” rese celebri anche dal film di Francis Ford Coppola, “Die Walküre” ruota interamente intorno a due temi: l’amore ed il Destino. La mitografia wagneriana ha spesso dimenticato, in nome di una “purezza” di concezione tutta germanica, che dietro i significati simbolici, stratificati e plurivalenti, come si diceva un tempo, c’è per l’uomo e per il compositore Wagner il desiderio di narrare una storia che, beethovenianamente, arrivi “dal cuore ai cuori”.