Daniele Gatti e la spiritualità di Metamorphosen - Le Cronache
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Daniele Gatti e la spiritualità di Metamorphosen

Daniele Gatti e la spiritualità di Metamorphosen

Uno spirituale Richard Strauss e la terza sinfonia di Ludwig van Beethoven impreziosiranno la scaletta dell’Orchestra Mozart di scena domani sera alle ore 20 al teatro Verdi di Salerno

Di Olga Chieffi

Dopo un appuntamento “extra-colto”, dedicato alla musica da film francese e la performance di Enzo Avitabile, si ritorna domani sera al teatro Verdi, alle ore 20, per il concerto dell’Orchestra Mozart diretta da Daniele Gatti, a capo di  un progetto artistico internazionale di grande originalità e valore, una formazione composta da prime parti provenienti dalle principali orchestre e da giovani talenti provenienti da tutto il mondo. La serata verrà inaugurata da “Metamorphosen”, studio per 23 archi solisti di Richard Strauss musica misteriosa e spirituale, simile al Tristan di Wagner, che nella sua misticità, racchiude anche alcune sfumature di Mahler. Epitaffio sulla cultura tedesca ed europea la pagina è una sorta di immenso adagio post-bruckneriano, nato sull’onda emotiva del bombardamento della Baviera del 2 ottobre 1943, nel corso del quale tra l’altro, fu distrutta la Staatsoper. Nel ricco e duttile materiale sonoro è possibile individuare tre cellule motiviche maggiori, sempre sottoposte (con le minori) a procedimenti di trasformazione, di ‘metamorfosi’. Nelle tre cellule, inoltre, l’immaginazione creativa ha evocato, per frammenti prima, poi per intero, coscientemente, due impressionanti citazioni, dalla Marcia Funebre della Sinfonia Eroica e dal ‘lamento’ di re Marke nel II atto del Tristano simbolo della delusione e la disperazione del tradimento.  La sorprendente novità dell’organico, che evoca un complesso barocco, 10 violini, 5 viole, 5 violoncelli, 3 contrabbassi, non nasconde, come qualcuno ha erroneamente creduto, un’amplificazione quintupla del tradizionale quartetto d’archi con tre bassi aggiunti, ordinandosi essa invece per responsabilità solistiche di ogni strumento o piccoli gruppi di strumenti a turno. Il titolo, enigmatico, certamente non allude solo alla tecnica della trasformazione tematica, ma addita le riflessioni di Goethe maturo sulle metamorfosi della natura, ricorda gli amati miti classici, e tenta di stringere forse, una speranza nell’afflizione e nel congedo. Nella seconda parte della serata faremo parte di quel sogno che si dipana dalla terza sinfonia in Mi Bemolle maggiore, op.55 di Ludwig van Beethoven, mai così attuale e necessario come oggi: eguaglianza, libertà, fraternità. Composta pensando alla figura di Napoleone Bonaparte, che per Beethoven, come per Hegel, incarnava lo spirito del tempo (uno spirito rivoluzionario, democratico), questa sinfonia è una celebrazione della storia come epos del presente. La narrazione avviene in modo non lineare, per flashback e fughe in avanti, e sembra concepita come un commento ad immagini invisibili, ma certo vivide nella mente degli ascoltatori. E infatti questa è forse la più “visuale” delle sinfonie di Beethoven: funziona quasi come una colonna sonora. È così dal primo movimento, quasi una sigla costruita intorno al motivo semplicissimo dell’attesa di qualcosa di grandioso, anche se, nello sviluppo, fa capolino – fuori dalla coppia di temi principali – un “tema” dolce, che sembra esprimere ciò che tutti in fondo ci si augura da una rivoluzione: quanto sarà felice, dopo, la vita, fino all’ultimo tempo, in cui al posto della forma-sonata viene adottata la forma delle variazioni: una successione in alternanza di quadri molto diversi, che fa di questo movimento un tentativo di conciliare, anziché una coppia, una pluralità di opposti – le tensioni e le contraddizioni di un’intera stagione storica. Nella Marcia funebre è da segnalare l’impiego di materiali elementari tratti da musiche pubbliche (marce, inni) concepite in Francia nel periodo rivoluzionario; tali elementi sono assorbiti in un contesto “alto”, messi in relazione con stilemi della musica d’arte fra i quali l’esoterica tecnica del fugato, mobilitata non però al fine d’un’astrazione rarefatta, bensì per drammatizzare il discorso musicale e condurre alla climax emotiva del movimento nel successivo straziante episodio a terzine. Una mancata elaborazione del lutto trova infine voce nell’impressionante congedo, dove il tema della marcia funebre è letteralmente frantumato, ad esprimere una prostrazione annichilita, senza ricomposizione. I richiami a Virgilio e a Omero non sono casuali perché l’Eroica fu definita dal Rolland “l’Iliade dell’Impero”, con tutte le implicazioni al mito napoleonico colto al vertice dell’ascesa e nella decomposizione dell’epicedio funebre. Nel Finale (Allegro molto), edificato attraverso la variazione di un tema innocuo preso dal balletto Le creature di Prometeo, trova spazio anche un sublime intermezzo (Andante); poi, prima della ricapitolazione (Presto), torna la rimembranza della marcia funebre. “L’eroe costa molte lacrime – ricordava Berlioz – dopo questi ultimi rimpianti offerti alla sua memoria, il poeta lascia l’elegia per intonare con trasporto l’inno della gloria”.