Caso Brusca, un pentito ora pericoloso - Le Cronache
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Caso Brusca, un pentito ora pericoloso

Caso Brusca, un pentito ora pericoloso

di Giuseppe Gargani

Giovanni Brusca, noto al grande pubblico per i tanti processi di mafia è stato sottoposto a misure di prevenzione dal tribunale di Palermo, e la notizia è apparsa su pochi organi di stampa perché probabilmente ritenuta di nessun rilievo.
Invece il fatto è assolutamente rilevante e indicativo perché Brusca, che come “pentito“ ha recitato tutte le parti a beneficio di diversi magistrati, e quindi ha ottenuto benefici premiali è stato considerato “pericoloso“ e sarà sorvegliato speciale con obbligo di firma e con le relative misure. Brusca aveva “meritato“ la scarcerazione nel maggio 2021 per i tanti “punti” messi insieme nella lunga carcerazione, ma evidentemente ad una successiva e tardiva valutazione è stato considerato appunto “pericoloso”. Il magistrato Grasso anche se ex presidente del Senato dovrebbe essere contento e d’accordo con i suoi colleghi?!
a nostro giudizio la notizia è importante perché ci riporta alle tante vicende contrastate e contraddittorie che hanno caratterizzato le indicazioni giudiziarie palermitane che sono state utilizzate e strumentalizzate per individuare presunti responsabili politici o per scagionare altri magari effettivamente responsabili.
Insomma il “pentito Brusca” è servito per scrivere una storia di questi anni che non corrisponde alla verità.
c. È per questo che svolgo alcune considerazioni. Abbiamo ripetuto varie volte che i magistrati con le loro “indagini” più ancora che con le sentenze, come vedremo, hanno preteso di scrivere la storia dell’Italia attribuendo alla politica e ai partiti la responsabilità della dilagante  corruzione e agli stessi e alle istituzioni una collusione con la mafia e la camorra.
Tante sentenze di giudici coraggiosi e indipendenti hanno contraddetto questo risultato delle indagini a volte con un giudizio severo e negativo che ha provocato querele da parte del pubblico ministero interessato sempre soccombente.
Il procuratore della Repubblica di Milano dell’epoca Saverio Borrelli, il “capo” di Tangentopoli, riteneva che “era  farisaico fingere che per prendere atto della realtà emersa bisognava attendere le sentenze”. “Bastavano le indagini”, egli aggiungeva “che erano rivolte più che ai singoli indagati al sistema per cui si chiedeva la dissociazione del sistema corruttivo che costituiva la regola generale”.
I processi e le sentenze hanno fatto giustizia di questo teorema e hanno distinto l’illecito  finanziamento dalla corruzione, confusione che ha consentito di ritenere la classe politica corrotta.
Questo per quanto riguarda i processi di Tangentopoli; le indagini di mafiopoli, che hanno ipotizzato gravi responsabilità di politici di primo livello, sono state soronamente sconfessate dalle sentenze, da Giulio Andreotti a Calogero Mannino e a tanti altri, e più recentemente la sentenza della Corte D’Appello di Palermo ha stabilito che i rappresentanti dello Stato e i politici non hanno fatto la “trattativa” con i mafiosi, non hanno attentato ai poteri dello Stato e non sono venuti a patti con la mafia.
Queste decisioni, dunque lo ripeto, cancellano la pretesa dei magistrati inquirenti di voler accreditare una storia non vera dell’Italia finalizzata a screditare i partiti politici e  l’apparato dello Stato.

L’equivoco di questa ultimi anni è stato il magistrato come protagonista assoluto della verità e garante della questione morale che ha fatto prevalere una giustizia etica, quella che pretende di far vincere il bene sul male?!.
Natalino Irti, con la sua sapienza storica e giuridica, ha detto che al magistrato e al giudice “non si chiede di ricostruire un tratto di storia generale politica ma di accreditare i fatti e quei fatti che esigono l’applicazione della legge”. Tanti si interrogano sul significato di Tangentopoli nella ricorrenza dei trent’anni sulle connivenze della politica e degli apparati dello Stato con la mafia che le indagini giudiziarie sulla trattativa ha alimentato per oltre venti anni, ma tanti notisti e alcuni organi di informazione in particolare continuano a distorcere la verità con faziosità inaccettabile.
Le sentenze di assoluzione di Mafiopoli ancora più di quelle di Tangentopoli hanno fatto giustizia dei teoremi distorti che il procuratore Caselli e tanti altri hanno alimentato negli anni, tutti sconfessati sia pure con una giustizia tardiva. In particolare quelli per Calogero Mannino sono stati più volte e duramente sconfessati, Mannino che era il vero nemico della mafia e che con la sua azione legislativa nel Parlamento ha contribuito a proporre leggi che, quando applicate bene, hanno colpito seriamente la mafia: questo un esempio lampante della grave falsificazione della storia: la tragica vicenda del ministro Mannino.
Ecco perché la vicenda di Brusca insieme ai tanti pentiti che come diceva Falcone, con le loro dichiarazioni erano a beneficio di questo o di quel magistrato, debbono essere chiarite per far luce vera su quegli anni  e per restituire alla storia non a quella delle indagini giudiziarie ma a quella vera, il compito della verità.
Ricostruire le vicende vere per raccontare la storia così come descrivere i costumi i costumi di una società, in particolare di quella italiana, è un’opera difficile e ambiziosa in questo periodo perché il populismo che le indagini giudiziarie hanno alimentato ispirando addirittura alcuni movimenti politici, è fortemente radicato nella società e negli individui.
Soltanto una presa di posizione generale e corale di tutta la classe dirigente per servire la causa, può essere valida; e quindi la campagna elettorale ormai in corso per le elezioni politiche deve essere l’occasione per qualificare i programmi delle liste che si presenteranno al corpo elettorale e le coalizione che si determineranno per ricostruire la storia della nostra Repubblica fuori da rancori da pregiudizi falsamente ideologici.
Il problema della giustizia, del ruolo che il giudiziario deve avere per l’assetto democratico in una Repubblica parlamentare è il problema fondamentale dell’Italia insieme alla sua collocazione europea e internazionale dell’Italia in presenza della spietata guerra in Ucraina e con una economia italiana ed europea che in questo contesto deve segnare la nostra qualità della vita e il nostro futuro.

Insomma i gruppi parlamentari che hanno votato il governo Draghi garante della stabilità e della sicurezza del paese e dell’equilibrio europeo debbono impegnarsi su questi problemi per far emergere la verità su tutte le questioni che abbiamo indicato se vogliono essere davvero alternativi.
Qualche settimana fa Walter Verini, dirigente importante del PD, su questo giornale ha dichiarato che “il movimento cinque stelle è il partito che ha riformato con il PD la giustizia“, dimenticando che quel movimento e quei parlamentari hanno distrutto l’ordinamento giudiziario e il codice penale all’insegna di una pretesa onestà sollecitando una riscossa rancorosa della società per una moralità che ora abbiamo ben conosciuto.
La riforma penale proposta dal ministro Buonafede è una pagina oscura del Parlamento italiano che il PD non ha ostacolato.
Ricordo a Verini che è stato necessario il nuovo intervento del governo Draghi e l’ostinazione illuminata del ministro Cartabia per modificare un po’ le cose e creare  i presupposti per una riforma radicale della giustizia.
Gli elettori del referendum con il loro voto, ancorché non valido per il risultato, hanno dato una indicazione di marcia per una reale inversione di tendenza riconoscendo il problema giustizia come fondamentale per la democrazia.
Il movimento cinque stelle sembra abbandonato ai suoi equivoci e la coalizione repubblicana alternativa deve prospettare agli elettori le riforme appena indicate  che servono a qualificare “i movimenti” e liste che vogliono privilegiare una loro identità culturale.

 

Giuseppe Gargani