Caso Amato: «Detenuti privati della dignità». L'avvocato Torre accusa - Le Cronache
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Caso Amato: «Detenuti privati della dignità». L’avvocato Torre accusa

«Il primo diritto da tutelare è la dignità di una persona: non è possibile portare un detenuto comune, che non ha cioè un alto profilo di pericolosità sociale, in un’aula di tribunale con le manette ai polsi. Le autorità politiche e la classe forense dovrebbero interrogarsi sul trattamento che l’autorità giudiziaria riserva ai detenuti». All’indomani dell’udienza preliminare sull’inchiesta Amato, il capogruppo Sel, Emiliano Torre, commenta così il trattamento riservato a Peppino Amato Junior, costretto a “sfilare” in aula con gli schiavettoni. «Per noi – spiega il giovane penalista salernitano che con il suo gruppo politico da tempo si sta battendo per una maggiore attenzione verso le tematiche carcerarie – andrebbe sempre escluso un trattamento così estremo che dovrebbe essere tenuto solo per i detenuti dall’alto profilo criminale e che non esiste in altri ordinamenti laddove l’imputato si siede al fianco del proprio legale.  Mi auguro che il caso Amato funga da breccia per aprire un dibattito che possa portare a concrete innovazioni per tutti i detenuti comuni». Il penalista, che pone poi l’accento sul più grosso problema della carerazione preventiva,  riporta il caso accaduto alcuni mesi fa quando, nell’ambito di un processo davanti ai giudici della prima sezione penale del tribunale di Salerno, sono stati stipati nella piccola cella dell’aula ben 15 detenuti.
La vicenda Amato è analoga a quella accaduta a Pierangelo Daccò, il manager dell’ospedale San Raffaele condannato in primo grado per bancarotta fraudolenta. In quel caso il suo legale, l’avvcato Giampiero Biancolella, commentò così l’utilizzo delle manette in aula: «senza ombra di dubbio una gestione del detenuto tramite quell’attrezzo è una gestione barbara. Come già è successo per Carra, sarebbe bene che anche il caso Daccò venisse sollevato. Non perché ne benefici solo lui ma anche il detenuto normale. All’epoca di Carra, a beneficiare dell’indignazione per gli schiavettoni, le foto in manette e la sfilata in tribunale, non furono soltanto gli imputati del processo di Mani pulite ma anche i cittadini comuni. Voglio ricordare che da allora è vietato pubblicare foto sui giornali di detenuti con le manette ai polsi. E questo vale per i colletti bianchi e quelli neri: tutti quanti.