Camorra e politica: 48 indagati. Il giallo di Eboli - Le Cronache
Cronaca

Camorra e politica: 48 indagati. Il giallo di Eboli

Camorra e politica: 48 indagati. Il giallo di Eboli

di PEPPE RINALDI

 

C’è un’indagine della Dda di Salerno sui rapporti tra amministrazione pubblica e malavita organizzata, in pratica tra politica e camorra per tenerci in area di slogan mediatici. In sé farà rumore, una volta scorso l’elenco degli indagati ma, in realtà, il punto centrale della vicenda non è tanto la variopinta ipotesi inquirente quanto il fatto che questo fascicolo (N.1864/2018/Mod.21) risulterebbe pendente dopo il trasferimento del titolare in Puglia (l’oggi procuratore aggiunto di Foggia Silvio Marco Guarriello) nel settembre scorso. Indagine, quindi, ancora aperta ma acefala, nel senso che questo fascicolo non sarebbe stato ancora riassegnato dal responsabile dell’antimafia salernitana che, verosimilmente, l’avrebbe trattenuta a sé, il condizionale è d’obbligo: e pure questo sarebbe un problema dal momento che, se le ipotesi prospettate dalla pubblica accusa “soltanto” quattro anni fa venissero confermate anche in minima parte, non ci sarebbe nessuna «carenza di personale» o «carico di lavoro eccessivo» a giustificarne l’apparente stallo, soprattutto per i diritti degli indagati mischiati in un calderone maleodorante per ragioni che solo il tempo potrà definitivamente chiarire. Forse.

Da alcuni brevi ma tormentati riscontri sembrerebbe pure che non siano intervenute archiviazioni, la qual cosa accresce gli interrogativi.

Proviamo a spiegare e a semplificare le cose al lettore, oggi in balia dello stupidario social più che mai.

Il pm della Dda di allora, peraltro titolare anche di un’altra importante indagine che ha travolto il Comune di Eboli durante la gestione Cariello (videosorveglianza), stava procedendo nel 2018 per le ipotesi di reato previste dal codice penale agli articoli 416 bis (associazione di stampo mafioso); 416 ter (scambio elettorale politico-mafioso); 476 e 479 aggravati dal metodo mafioso (Falsità materiale e ideologica); 353 (Turbata libertà degli incanti); 353 bis (Turbata libertà di scelta del contraente) pur esse aggravate dal metodo mafioso, più altre specifiche condotte particolari contestate a seconda dei casi. Insomma, roba da far cadere giù i muri. Al centro dell’indagine il solito Cariello con la piccola corte di familiari e attachés più una cinquantina di altre persone, una composizione che taglia trasversalmente la società locale, dal piccolo spacciatore di droga al grande imprenditore dei rifiuti, dal dirigente comunale a vecchi e nuovi capiclan, dal consigliere comunale al sacerdote, dal colletto bianco allo storico imprenditore caseario, dal delinquente abituale all’usuraio, dall’ingegnere al picchiatore, dall’ex manovale magicamente fattosi imprenditore alla cooperatrice onnipresente nelle gare comunali, insomma ce n’è per tutti i gusti.

Ma c’è qualcosa, di fondo, che non quadra. L’idea che il problema risieda più nella gestione (pregressa) e nel funzionamento degli uffici giudiziari che non nell’indagine in quanto tale, comincia a delinearsi nella mente di chi osservi l’evoluzione del fenomeno.

Non serve tanta esperienza per sapere che una procura della repubblica che si trovasse in una fase avanzata delle indagini su materie di questo tipo, non si periterebbe troppo di usare i guanti di velluto: se gare appalti e affidamenti pubblici, milionari e meno milionari, siano o siano stati in qualche misura contaminati dalla camorra nel 2018 (con «condotta perdurante» scriveva il pm), peraltro con nomi di peso del ramo, perché a distanza di quattro anni le cose sono ancora “appese”? Esercizio di cristiana prudenza? Il dubbio si allarga. Come, del resto, si comprende pure perché la procura si troverebbe in difficoltà a chiudere il cerchio con una bella maxi archiviazione: significherebbe ammettere che in quegli uffici salernitani a quel tempo si moltiplicavano a vuoto impegni spese costi personale carte faldoni e timbri. Il che può essere certamente possibile (i magistrati sono uomini come tutti noi) sebbene disdicevole.

Mettere in un’unica pentola la vicenda delle gare pilotate al Piano di zona con gli interessi, ad esempio, di vecchi costruttori o camorristi battipagliesi ed ebolitani da anni corrivi al potere politico, oppure i grandi appalti per i rifiuti con il traffico di droga piccolo e grande, il funzionario comunale notoriamente “per bene” con l’altro notoriamente “per male”, insomma fare un pot-pourri senza definire la cosa in tanto tempo, fa schizzare la pressione oltre i limiti del possibile. Il lettore noterà che in questa occasione non trova i nomi per esteso degli indagati ma solo le relative iniziali e la data di nascita: le ragioni di questa estemporanea scelta originano dall’alone nebbioso che avvolge un po’ tutta la vicenda, dall’ipotesi che sia in corso altro e dalla necessità di non devastare oltre misura attori protagonisti e comparse di una fase penosa e imbarazzante della vita pubblica cittadina, delegata democraticamente a una specie di grillino ante litteram come l’ex sindaco di Eboli, certo non camorrista ma forse spregiudicato ed evanescente quanto basta per ingoiare di tutto e di più, con le conseguenze note: basti pensare a una vicenda emersa dagli atti che lo riguardano nella quale l’ex primo cittadino, infastidito dalle critiche social (Cariello era, e sembra essere tuttora, ossessionato da “like” e scemenze del genere) che gli rivolgeva una persona, si risolse a chiedere l’intervento risolutore di un congiunto stretto di un usuraio allora detenuto per 416 bis legato al clan Maiale. Con tali premesse il minimo che possa accadere è che la slavina si trasformi prima o poi in valanga. Ma questo dipende da come funzionarono (e funzionano) le altre istituzioni, a partire dalle forze dell’ordine passando per prefetture e procure, da tempo tutte «informate sui fatti» come si direbbe in questi casi.