“Aumentate le richieste d'aiuto ma i problemi economici non aiutano” - Le Cronache
Attualità

“Aumentate le richieste d’aiuto ma i problemi economici non aiutano”

“Aumentate le richieste d’aiuto ma i problemi economici non aiutano”

di Erika Noschese

“In piena emergenza Coronavirus sono aumentate le richieste di aiuto ma non si può parlare di un incremento sostanziale degli accessi anche a causa della precarietà economica”. Parla così Francesco Napoli, psicologo clinico e psicoterapeuta Psicodinamico esperto in infanzia, adolescenza e famiglia. In occasione della giornata della salute mentale è stato lanciato l’allarme su quanto l’emergenza Covid abbia negativamente influito sul benessere psicologico delle persone. Quale è la sua opinione? “La Giornata Mondiale della Salute Mentale è stata l’occasione per ribadire il portato che l’emergenza sanitaria sta avendo sulla vita quotidiana delle persone ed in particolare sul benessere psicologico. Su questo aspetto abbiamo almeno due questioni principali: da un lato la condizione delle persone con fragilità psichica e psicologica che stanno affrontando con fatica la situazione di isolamento ma più in generale di preoccupazione diffusa. La chiusura dei centri diurni, ad esempio, prolungata nei mesi scorsi, ha influito negativamente sui percorsi di presa in carico ed accompagnamento delle persone con fragilità e sulla vita delle famiglie. Appare evidente che persone già fragili siano maggiormente a rischio in una situazione di profonda preoccupazione per la salute pubblica. Al contempo la scarsità di servizi radicati sul territorio, di una sanità territoriale diffusa, di una politica di salute pubblica orientata al coinvolgimento delle comunità, abbia necessariamente aggravato le condizioni di vita di chi è già in condizioni di svantaggio. Molti, ed io sono d’accordo, hanno ribadito l’urgenza di un cambio di passo e di cogliere questa occasione per ridisegnare il paradigma e le pratiche di presa in carico delle persone con disabilità mentale, a partire dall’adozione del budget di salute e dal maggiore coinvolgimento del privato sociale nella co-gestione e co-programmazione dei percorsi. Non solo, il rischio è anche quello di una generale assuefazione a pratiche diffuse, micro pratiche, di contenzione e di marginalizzazione delle persone con disabilità mentale, troppo spesso affidate a servizi in cui la presa in carico diventa di marca assistenzialistica diventa il paravento a modelli di contenzione e internamento “dolce” che di fatto replicano le prassi manicomiali che abbiamo combattuto e abolito da molti anni oramai”. Presso il tuo studio sono aumentate le richieste? Spesso le persone rinunciano allo psicologo anche per problemi economici… “Indubbiamente sono aumentati i contatti e le richieste di aiuto, in particolare in circostanze emergenziali o di persone già afferenti al mio studio in passato o in corso di consultazione. Ciò detto, non mi pare di ravvisare un incremento sostanziale degli accessi, probabilmente anche a causa della precarietà economica e delle preoccupazioni per il futuro che le persone vivono legittimamente in questa fase. Indubbiamente, questo anche indipendentemente dall’emergenza sanitaria, i costi di un percorso psicoterapeutico privato ha dei costi che, sebbene calmierati da parte dei professionisti, non sono alla portata di tutti. In questo senso abbiamo salutato con favore la Legge Regionale che istituisce lo Psicologo di Base, perché riconosce e sancisce il diritto al benessere psicologico e sana la frattura sociale tra medicina e psicologia. E’ importante questa legge perché sostiene ed agevola l’accesso allo spazio di supporto e consultazione psicologica ad un maggior numero di persone il che è indispensabile per consentire a chi lo desidera e ne sente il bisogno di avere uno spazio per coltivare il proprio benessere uscendo dalla logica che la salute significhi non avere malattie e problemi organici per entrare, come comunità, in una visione della salute come un valore aggiunto soggettivo e collettivo, sociale ed economico, di cui ciascuno è responsabile per sé e per gli altri e che per questo deve essere consentito ed agevolato l’accesso agli spazi della psicologia esattamente come accade per quelli della medicina di base, ambulatoriale ed ospedaliera. Ricordo la grave carenza di personale specialistico della psicologia nei servizi pubblici dove da anni non vengono assunte nuove risorse di questa disciplina. Siamo fiduciosi che rapidamente saranno emanati i regolamenti attuativi e che si possa nel breve vedere attivato il servizio dello Psicologo di Base come presidio di salute pubblica ma soprattutto come luogo in cui prevenire e intercettare il disagio prima che dia esito a condizioni di fragilità più gravi, con un costo in termini di benessere delle persone e di economia della comunità non certo indifferente”. Quali sono le conseguenze del lockdown e di questa emergenza epidemiologica? Quali sono i sintomi più comuni? “Per quello che riguarda le persone con fragilità abbiamo già detto alcune cose. Per quanto attiene la maggioranza delle persone, invece, possiamo rilevare un generalizzato aumento dei sintomi collegati all’aumento dello stress: difficoltà nel riposo, agitazione, senso di confusione, incapacità a gestire gli impegni come di consueto. Abbiamo poi una fascia di sintomi più importanti che vanno dall’ansia generalizzata non ancora invalidante agli sbalzi di umore, a stati di tristezza generalizzati. Anche in questo caso siamo ancora nell’ambito del malessere che riguarda una larga porzione della società, ma che non ha un impatto invalidante sulla vita delle persone sebbene generi sofferenza e fatica. Altro aspetto è invece quello dell’esordio di sintomatologie più importanti che erano silenti o a limite e che la situazione di isolamento sociale e di più generalizzata preoccupazione possono aver contribuito a fare emergere in modalità importanti ed invalidanti. È evidente, ad esempio, che se ci troviamo di fronte ad una persone che porta una sintomatologia di marca ossessiva-compulsiva sul lavaggio delle mani, in un momento in cui questa pratica viene sollecitata dal contesto, questa persona troverà un rinforzo all’esterno non ad una pratica che bisogna assolutamente applicare per proteggersi, ma ad un sintomo di cui è già portatrice. Con il risultato di avere un rischio elevato che la sintomatologia già presente esploda e diventi ancor più invalidante, magari intaccando ed emergendo in altre aree di vita. Lo stesso esempio può valere per i giovanissimi e giovani, già orientati ad un uso massiccio del digitale e, per alcuni, ad un generale isolamento e delega relazionale al pc o al gaming. In questi casi, il distanziamento e l’uso del digitale anche per la didattica, sostiene e rinforza pratiche che, prese da sole sono assolutamente indispensabili, ma applicate e vissute da chi è portatore di un disagio possono aumentarne gli effetti fino a generare condizioni di profondo malessere o fare esplodere condizioni di fragilità che fino a ieri si compensavano anche grazie alle sollecitazioni del contesto che andavano in direzione opposta. Non possiamo fare a meno di certe pratiche, tuttavia dobbiamo saper costruire modelli di intervento e prevenzione del disagio che ci consentano di arginare gli esiti che questo nuovo stile di vita che dobbiamo imporci potrebbe generare su alcune porzioni della popolazione. Infine, mi lasci esprimere alcune preoccupazioni, sempre di carattere psicologico e sociale. Penso ai bambini che si affacciano all’età scolare ed alla fase di socializzazione esterna al contesto famiglia o di chi se ne prende cura; la situazione delle scuole, le forti limitazioni alla socialità, sono un boomerang rispetto al percorso di crescita e sviluppo relazionale dei nostri piccoli. Non possiamo fare diversamente in questa fase ma mi chiedo se ci stiamo ponendo questo problema e come intendiamo affrontarne le conseguenze nel prossimo futuro. Rischiamo di ritrovarci con una intera generazione, se non due, che avrà conseguenze sul piano emotivo e relazionale più di quanto già non vediamo nelle generazioni attuali in termini di fatica ed incapacità a stare in relazione con se stessi, con il prossimo ed a vivere le emozioni in forme e formule sane e coerenti. Su questo, trovo importante preservare lo spazio scuola ed evitare chiusura, ciò nonostante mi chiedo quanto il clima di preoccupazione e pressione che si sta generando nei contesti scolastici possa influire sul benessere psicologico dei nostri bambini e bambine, sui giovanissimi e sugli adolescenti. Che significa per un bambino entrare in una scuola dove tutto gli restituisce preoccupazione, pressione, controllo, limitazione? Sappiamo bene quanto le regole applicate siano fondamentali, ma questo non ci esime dal porci domande e orientare il nostro agire professionale e sociale in modo da limitare i rischi ed i danni connessi alle pratiche che siamo costretti ad applicare in questa fase”.