Antonio Florio: “Senza Respiro” con Raffella - Le Cronache
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Antonio Florio: “Senza Respiro” con Raffella

Antonio Florio: “Senza Respiro” con Raffella

Il Maestro era il sassofono tenore dell’orchestra diretta da Paolo Ormi, in tour con la Carrà, nel 1972. “Un tour che ci vide attraversare l’intero stivale da Torino ad Alcamo. E ad ogni day-out, un concerto alla Bussola”

 Di Olga Chieffi

Correva l’anno 1972: n Italia la Fiat 127 diventa auto dell’anno, grazie ai modesti consumi e alle dimensioni ridotte che facilitano i parcheggi. Sempre in casa Fiat vede la luce quest’anno anche la 126. Nel mese di maggio viene ucciso il commissario di polizia Luigi Calabresi, vittima del terrorismo eversivo, ancora attivo in Italia dopo la strage di Piazza Fontana del ’69. Negli Stati Uniti il 1972 è l’anno del Watergate. L’avvenimento sportivo più importante è costituito dalle Olimpiadi di Monaco che vedono il trionfo dell’astro nascente del nuoto Mark Spitz. Si distingue tra gli atleti italiani il ventenne Pietro Mennea, medaglia di bronzo nei 200 metri. In teatro inizia il successo di Gigi Proietti con la commedia “Alleluja brava gente”, in coppia con Renato Rascel. Giorgio Strehler torna alla direzione del piccolo teatro di Milano. Nel cinema escono due grandi capolavori: “Il padrino” di Francis Ford Coppola e il discusso “Ultimo tango a Parigi” di Bertolucci.Tra i film italiani si distinguono “La classe operaia va in paradiso” di Elio Petri, “Lo chiamavano Trinità”, prima pellicola della fortunata serie che ha come protagonisti Bud Spencer e Terence Hill, “Mimì metallurgico” di Lina Wertmuller, che mette in evidenza uno straordinario Giancarlo Giannini. A Sanremo si canta “Jesahel” dei Delirium, “Montagne verdi” di Marcella e “Piazza grande” di Lucio Dalla ma vengono alla ribalta nomi quali Emerson Lake & Palmer, Santana, Deep Purple, Jethro Tull. In quell’estate Raffaella Carrà attraversò l’Italia con il tour “Senza respiro”. Nella sua orchestra, diretta da Paolo Ormi tre salernitani, simbolo della grande scuola di fiati dell’Istituto Umberto I, Antonio Florio al sassofono tenore, Ernesto Pumpo al trombone e Domenico Zappile alla tromba.

Maestro Antonio Florio, come foste ingaggiato per il tour di Raffaella Carrà?

“ Fu Ernesto Pumpo, al tempo I trombone dell’orchestra della Rai, a proporre il mio nome e quello di Domenico “Mimmo” Zappile trombettista. Le prove si svolsero in RCA dove fu inciso anche il disco, quindi partì il tour “Senza respiro”. Dopo la prima prova d’assieme, confermarono l’ingaggio”.

Il tour attraversò tutta Italia. Una nazione che veniva fuori dal 1968 e che aveva vissuto le prime elezioni anticipate. Che sensazioni percepiste?

“ Si, non era un periodo facile, ma si era giovani e in quell’estate non si volle pensare ad altro che a suonare e divertirsi, l’anno successivo ci fu il decretone sull’austerity, causato dall’embargo e tanto altro. Attraversammo l’intero stivale, da Torino ad Alcamo e ogni giorno out, in qualsiasi città ci trovassimo, andavamo a suonare alla Bussola. Lì incontrai per la prima volta il tenor sax italiano per eccellenza, Gianni Basso, che era con Mina, un’altra super band che schierava alla tromba Oscar Valdambrini, diretta da Gianni Ferrio. Gianni Basso fece i complimenti alla front-line dei sassofoni, che era composta da me al tenore, da Antonio Rapicavoli, l’altro tenore che aveva anche l’obbligo del flauto, dal sax alto, Giuseppe Carrieri e dal baritono, Ovidio Urbani, devo dire meritati, poiché l’amalgama era pressoché perfetta, ricercata anche attraverso l’uso dello stesso modello di bocchino e di ance”.

Che ricordo ha di Raffaella Carrà, dello spettacolo, dell’entourage che vi seguiva?

“ Raffaella, era come una sorella, una grande anima. Capitanava una squadra di grandi artisti ed individualità eclettiche. Con noi c’erano anche i ballerini, dei quali il primo era Enzo Paolo Turchi, con il quale ho ancora contatti, poiché spesso scende col suo Giannetti nel Golfo di Policastro. Lo spettacolo era veramente senza respiro, bellissimo da vedere ed ascoltare, con le coreografie di Gino Landi, i costumi di Corrado Colabucci, e su tutti Gianni Boncompagni, che firmava le musiche e si occupava anche della logistica. Una professionalità infinita, maniacale. D’altra parte ricordate benissimo i programmi della televisione dell’epoca, Canzonissima, poi Milleluci, altro che il varietà di oggi”.

Come era la Carrà prima di andare in scena?

“E non ci crederete, ma dietro le quinte, scene di timor panico. Bisognava incoraggiarla e talvolta anche catapultarla in scena. Poi, una volta sul palco era infermabile”.

Vi siete esibiti anche qui a Salerno?

“ In città proprio no, ma in provincia si, ricordo Il Grottino a Pagani, al Grand Hotel Il Saraceno di Amalfi, il Lanternone a Palinuro, Il Carrubo ad Agropoli e il Ciclope a Marina di Camerota che già allora non convinse del tutto Boncompagni, per le rocce che potevano cadere. Qui in Campania, Raffaella volle viaggiare in pullman con tutti noi, per timore della “delinquenza”. Giocammo quattro scope e persi sempre perché non conoscevo bene le carte piacentine”.

Quale eredità lascia a tutti noi Raffaella Carrà?

“ Come tutti i grandi artisti, l’inimitabilità, il perfezionismo, la professionalità. Su tutto, però, regnerà per sempre il suo luminoso sorriso e la sua travolgente risata”.