«Abbiamo preso il Covid lavorando E’ una vergogna il calvario affrontato» Marito e moglie in servizio al Ruggi hanno dovuto penare non poco da quando hanno appreso la positività. Lui attende l’esito del primo e del secondo tampone - Le Cronache
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«Abbiamo preso il Covid lavorando E’ una vergogna il calvario affrontato» Marito e moglie in servizio al Ruggi hanno dovuto penare non poco da quando hanno appreso la positività. Lui attende l’esito del primo e del secondo tampone

«Abbiamo preso il Covid lavorando E’ una vergogna il calvario affrontato»  Marito e moglie in servizio al Ruggi hanno dovuto  penare non poco da quando hanno appreso la positività. Lui attende l’esito del primo e del secondo tampone

di Pina Ferro

Marito e moglie, infermieri presso il pronto soccorso del “San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona di Salerno, risultano positivi al Covid ma sono stati abbandonati a se stessi. Il marito, con febbre e sintomi tipici del Covid, ancora è in attesa dell’esito del primo tampone, che poi ha provveduto a rifare scoprendo la positività. E, intanto da martedì scorso marito e moglie attendono di sapere se si sono negativizzati. C‘è anche da sottolineare che l’uomo non figura neppure nell’elenco dei positivi, come ha appreso qualche giorno fa. A raccontare il calvario che stanno vivendo marito moglie e due bimbe piccole costrette in casa è la donna che per prima ha scoperto di essere positiva al covid. «Era lunedì 28 settembre scorso quando, al pronto soccorso, ci comunicano che dovevamo essere sottoposti a tampone a seguito della positività di una dottoressa. Fatto il prelievo, il lunedì pomeriggio non ci viene comunicato nulla. In genere i tamponi sono pronti in sei ore». «Solo il martedì sera mi viene comunicato l’esito del tampone. Stavo finendo il turno di pomeriggio al Ruggi, quando mi contatta la caposala che mi comunica la mia positività al covid. Il mio primo pensiero è stato quello di avvisare tutti i nostri contatti, le due scuole: elementare e asilo frequentate dalle mie bambine, i genitori dei ragazzi che sono in classe con le mie figlie, l’autorità competente, ovvero il sindaco e i nostri familiari che erano stati a contatto con noi. La mattina seguente vengo contattata da un medico del servizio igiene e prevenzione dell’Asl di Salerno, Insieme redigiamo la tracciabilità dei miei contatti antecedenti le 48 ore precedenti i primi sintomi. Io avevo avvertito qualcosa il martedì sera. Il mercoledì mattina non mi sento bene, chiamo il 118 comunicando la mia positività e trascorro 24 ore in ospedale per essere sottoposta ad una Tac ed agli esami del caso. Al mio rientro a casa, in accordo con mio marito, decido che la mia quarantena, per tutelare le mie bimbe di 5 e 6 e mezzo anni, si sarebbe svolta presso il domicilio dei miei suoceri per motivi organizzativi. Trascorro quattro giorni in una stanza 3 per 3. Nel frattempo, giovedì 1 ottobre, mio marito comincia a lamentare una sensazione di malessere generale , poi la notte gli sale la febbre, il venerdì cerchiamo di contattare l’Asl ma nessuno ci dà credito così ricontattiamo il medico del servizio igiene e prevenzione dell’Asl non sapendo neppure che fosse il nostro punto di riferimento. Nessuno ci ha detto cosa fare, chi contattare o altro. Il camice bianco in questione, si attiva immediatamente, chiama chi di dovere e il venerdì pomeriggio mio marito viene sottoposto a tampone. Pensi che in 24 ore, almeno questo tampone, sia pronto considerando che lui è in casa con due minori. Il sabato mattina il tampone doveva essere portato ad Eboli per essere analizzato. Trascorre la giornata di sabato e la domenica senza che nessuno ci dica nulla. Cerchiamo di contattare l’Usca e l’Asl, l’ospedale di Eboli, il laboratorio di biologia molecolare … dopo circa 20/25 telefonate, la domenica sera decidiamo di chiamare il referente del Asl la quale si attiva per capire che fine abbia fatto il tampone di mio marito. Il medico ci riferisce di visualizzare il tampone in elaborazione ad Eboli. Oggi a distanza di oltre dieci giorni da quel tampone non abbiamo ancora ottenuto l’esito. Decidiamo, con la collaborazione di una collega che mio marito si faccia il tampone da solo. Fa il prelievo e attraverso un’amica viene portato al laboratorio del “Ruggi” e analizzato. Il lunedì sera scopriamo che è positivo. A quel punto non ha senso che io resti dove ci sono dei negativi ma è più giusto che torni a casa mia anche perché mio marito non stava bene». «Il martedì, mio marito sta male, chiama il 118 e va in ospedale così scopriamo che la tac toracica è tipica del covid con focolai a vetro smerigliato (questo è il termine tecnico) e che necessita di ricovero per terapia in vena. Nel frattempo al “da Procida”, l’unico posto ancora libero viene occupato, la sua destinazione dovrebbe essere il Loreto Mare. L’alternativa è tornare a casa per non andare così lontano: anche a livello gestionale sarebbe diventato complicato. Torna a casa con il monitoraggio della saturazione (livelli ossigeno nel sangue) e si sottopone a terapia in vena. Affrontiamo giornate non facili perché la febbre c’è sempre, insieme a vari malesseri, però abbiamo le bambine e dobbiamo andare avanti. Nel frattempo nessuno ci contatta da parte dell’Asl Salerno. Dopo qualche giorno ci risentiamo con il medico del servizio di prevenzione, era il venerdì. Questo mi dice che il giorno dopo dovevo effettuare il tampone post quarantena. Visto la persistenza della sintomatologia ancora presente in mio marito decidiamo di spostarlo al lunedì». La donna per tutta la giornata di lunedì aspetta l’arrivo di chi dovrebbe effettuarle il tampone. Attesa inutile. A questo punto, nella tarda mattinata, la donna decide di contattare il medico dell’Asl, senza ottenere risposta. «Contattiamo il medico di base per una nuova richiesta di tampone, mi dice c è l’Asl di mezzo per cui non può procedere alla prescrizione. Ci rimettiamo a telefono provando a contattare il medico dell’Asl che doveva essere il nostro referente, ma inutilmente. Ricontattiamo l’Asl e riesco a parlare con una persona disponibile che mi dice: ”guardi contatti il medico di base e gli spieghi che non ha trovato il medico referente e che deve prescrivere una nuova richiesta di tampone”. Seguo l’iter e ho la nuova prescrizione. Martedì mattina mi chiama l’Usca di Campigliano di San Cipriano picentino. La persona al telefono ci chiede spiegazioni in merito a questa richiesta di tampone. Spieghiamo il tutto e ci dicono che non risultiamo neanche nel registro dei politivi in particolare mio marito non risulta proprio. A questo punto ci organizziamo con una dottoressa per effettuare i tamponi. Nella stessa mattinata di martedì, la stessa viene a casa per il prelievo. si trattava di un tampone che, se negativo ci avrebbe portato ad un secondo tampone e poi alla libertà e di nuovo alla vita Mercoledì e giovedì nessuno ci comunica nulla. Ricontattiamo il medico del servizio igiene e prevenzione dell’Asl ma il cellulare è spento. Cominciamo a contattare vari numeri: Asl Nocera, Salerno, Battipaglia…. Non li conto neppure i numeri che ho composto questa mattina (ndr ieri per chi legge). Alla fine tramite il centralino dell’Asl di Salerno riesco a parlare con una dottoressa che non ha nulla a che vedere con la questione Covid ma che ci dice che il medico che avevamo, inutilmente, cercato ha una sostituta in questi giorni e ci fornisce il numero per contattarla, ma ogni volta che componiamo il numero cade la linea. Richiamiamo il centralino dell’Asl e ci facciamo dare un altro numero di telefono. Numero che abbiamo composto di seguito per oltre un’ora senza mai ricevere risposta. Dal centralino dell’Asl ci danno altro numero. Finalmente, dopo alcuni tentativi ci risponde una dottoressa che ci dice che lei non ha nulla a che fare con il Covid, ma ci ascolta e alla fine mi fornisce il numero di un responsabile. Lo contatto. Questi mi risponde e senza farmi finire neppure la frase: “Le posso chiedere un’informazione” comincia a urlarmi contro che “non ha tempo, che lui è lì per lavorare, che non può dare informazioni e che non può ascoltarmi”. A questo punto ho sbottato io, ho raccontato la mia storia dicendo che mi doveva aiutare. Di fronte alle mie urla mi dice adesso le passo la collega. Armata di pazienza spiego al medico che la collega è da un’ora che non risponde a telefono e contestualmente lo invito a riferire a questa collega che se entro tre minuti non risponde a telefono io le avrei mandati i carabinieri in ufficio. Manco 20 secondi dopo la collega era a telefono. Un miracolo. La dottoressa mi ascolta per metà, perché aveva troppo lavoro, mi urla contro e, al termine del mio racconto senza avere un briciolo di umanità e senza pensare che a casa io avevo due minori e che il Covid io non l’ho preso andando ad una festa o a ballare, ma attraverso una paziente di cui mi ero occupata, mi risponde si è sfogata lei, ora mi sfogo io. “Io sono qua dentro e non so come fare: devo rispondere a telefono e fare altro”. Ovviamente, le ho spiegato che non poteva essere un mio problema e che si doveva lamentare con i suoi superiori. Io sono a casa con due bambine piccole che vogliono tornare alla vita. Ma è normale che dopo quattro giorni nessuno si fa sentire?. Poi mi devo sentire De Luca che dice che l’Asl contatta quattro volte al giorno i pazienti positivi. Ma dove? Ma quando? Non siamo stati chiamati da nessuno per chiederci come va. Ma stiamo scherzando, é una Vergogna. Noi siamo del settore e quindi siamo riusciti a fare qualche telefonata in più ad avere un tampone in più. Ma quella povera gente che che non sa come muoversi è abbandonata a se stessa».