A cavallo tra Ottocento e Novecento con Pavel Berman - Le Cronache
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A cavallo tra Ottocento e Novecento con Pavel Berman

A cavallo tra Ottocento e Novecento con Pavel Berman

Il violinista in duo con il pianista Roberto Arosio sarà ospite, questa sera, alle ore 20, della stagione concertistica del Teatro Verdi di Salerno

Di OLGA CHIEFFI

Continua la prestigiosa stagione concertistica del teatro Verdi di Salerno, che dopo la scoppiettante serata con l’orchestra di Piazza Vittorio, inaugura il suo dicembre, questa sera, alle ore 20, con il violinista russo Pavel Berman in duo con il pianista Roberto Arosio. Il programma verrà inaugurato dalle cinque melodie di Sergej Prokofiev, che scrisse tra la California e Chicago. Sono le cinque Canzoni senza parole op.35, una forma che si rivelò poco pratica e che più tardi rielaborò, nel 1924 per violino e pianoforte, dedicandole a Nina Koschitz, che all’epoca aveva una stretta collaborazione con Rachmaninov. Un passo indietro con la Sonata per violino e pianoforte in la maggiore di Cèsar Frank, composta nell’estate del 1886 e dedicata al grande violinista belga Eugène Ysaÿe, senza dubbio uno dei capolavori della musica strumentale francese del secondo Ottocento. Opera emblematica questa, forse quant’altre mai, non soltanto dello stile del suo autore ma anche, in qualche modo, di un’intera epoca della musica francese, dove convivono e si intrecciano intensità lirica, elegante nitore della scrittura, culto e rigore della forma, pronunciato gusto neoclassico evidente tra l’altro nel ricorso alla tecnica contrappuntistica, linguaggio armonico raffinatissimo ispirato dal cromatismo wagneriano nonché da ripensamenti modali, anelito all’organicità compositiva. Quest’ultimo si riflette anzitutto nel principio costruttivo ciclico tanto caro a Franck e che qui si manifesta a vari livelli: se l’idea ciclica formulata nel primo movimento determina o perlomeno incide sulla conformazione melodica dei temi dei movimenti successivi (decisivo al riguardo è l’intervallo di terza), assumendo via via nuove e cangianti configurazioni, e in ogni caso ricompare ben riconoscibile sotto specie di ricordo o reminiscenza, la sostanza tematica principale e per così dire autonoma del terzo movimento viene a sua volta riutilizzata, in funzione complementare, nel finale. A denotare l’impegno costruttivo e l’ambizione della Sonata, che nella sua poderosità aspira a una dignità estetica paragonabile a quella della grande forma sinfonica, intervengono la ricercata varietà delle soluzioni formali e degli atteggiamenti espressivi dei quattro movimenti, ciascuno dei quali offre una propria definita individualità all’interno dell’insieme complessivo. La seconda parte della serata sarà aperta dalla I Sonata per violino e pianoforte di Maurice Ravel. Questo allegro fu portato a termine nell’aprile 1897 e venne probabilmente eseguito nell’ambito dei corsi di composizione di Gabriel Fauré al Conservatorio durante l’anno scolastico 1897-1898 da Georges Enesco, accompagnato al pianoforte dal compositore. Conservata negli archivi di Ravel, il pezzo fu pubblicato solo nel 1975, in occasione delle celebrazioni per il centenario della nascita dell’artista, con il titolo alquanto ingannevole di Sonata postuma. Ben lungi dall’esprimere un ultimo sussulto modernista proposto da Maurice Ravel dall’oltretomba, la sonata del 1897 tradisce viceversa il peso dell’influenza delle grandi figure della musica da camera francese su un giovane compositore ancora in formazione. Si omaggerà quindi l’Ernest Bloch della “Baal Shem” composta nel 1923, poi revisionata nel 1939, dove sono descritte tre immagini della vita classidica: Vidui (contrizione), Nigun (improvvisazione), Simchat Torah (rallegrandosi). Nel primo movimento (Vidui) viene espresso un rimpianto, una protesta che è perseguitata da fatti passati, questo è il tema esposto dal violino, al pianoforte vengono affidati degli accordi che fanno eco a questo tema emotivo che esprime emozioni di paura, speranza e dubbi. Niugun, sarà il centro focale di questa composizione, il violino imita le tradizioni vocali della musica ebraica attraverso ornamenti e glissandi, determinando un carattere declamatorio, mentre l’ultimo movimento, Simhat Torah, che significa gioia della Torah, in tonalità maggiore, ha un carattere molto solare che dissolve la tensione drammatica creata dai movimenti precedenti. Fuochi pirotecnici per il finale con la Carmen Fantasy di Pablo De Sarasate che si articola con il preludio sulla Entr’acte al quarto atto dell’opera (“Aragonaise”), il primo movimento che adatta l’Habanera, il delicato secondo movimento fa da ponte alla Séguidilla, per chiudere con la frenetica Danza Boema.